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Siniscalco l’economista equilibrista

28/10/2004

Siniscaltro, perché ha tentato di imbrogliare le carte al governo e a Silvio Berlusconi in persona. Siniscalcolo, in quanto ha messo i conti in tavola e sui conti non si imbroglia più. Sinistralcio, perché ha cercato di portare il taglio delle tasse nel collegato alla legge finanziaria, per far capire di chi è eventualmente la responsabilità dello sfondamento. Finiscalco, visto che avrebbe trovato un legame collegiale di ferro con il leader di Alleanza nazionale. Diniscalco, perché all’occorrenza, dovesse crollare tutto, nessuno meglio di lui potrebbe interpretare la parte del tecnico che assicura la stabilità nazionale. Insomma, le molteplici personalità del ministro dell’Economia sono messe davanti a una prova mica male. In luglio aveva esposto il suo metodo: tocca al tecnico sciorinare i numeri, e al governo fare le scelte. Come no. I numeri sono stati fatti. Erano catastrofici, al punto che il "Wall Street Journal" aveva giudicato il suo compito una «mission impossible». Visto il Dpef, un analista come Paolo Onofri ha scritto: «Si sapeva che il disegno di politica economica del governo di centro-destra era palesemente inattuabile», e quindi «la sensazione diffusa è che sia troppo tardi». Troppo tardi vuol dire che tutte le previsioni infauste emesse prima dell’estate potrebbero realizzarsi. Il governatore Fazio salva Siniscalco ma infierisce su Tremonti, dicendo che la situazione è grave, bradisismica verso il tracollo. La competitività italiana finisce al 47° posto al mondo, dietro il Botswana. Detto questo, se in precedenza si era illuso, ora Siniscalco sa che Berlusconi non solo vuole, bensì pretende la riforma fiscale. Meno tasse per tutti era il suo slogan elettorale nella campagna del 2001, e taglio dev’essere. Il capo del governo è convinto che la rimodulazione delle aliquote è la sola risorsa, l’arma letale per rivincere le elezioni nel 2006, e quindi non ci sono né se né ma: bisogna tagliare. La visione berlusconiana si basa sulla convinzione che con due soldi in più distribuiti ai contribuenti, gli italiani dimenticheranno il fallimento del suo governo, le promesse mancate, gli assurdi tassi di crescita previsti da Tremonti nei suoi primi Dpef, il siluramento del superministro, e non capiranno neppure che il taglio delle tasse implicherà un aumento delle tasse locali, Ici in testa, con una specie di patrimoniale clandestina. Pochi, benedetti e subito, ragiona Berlusconi; magari un po’ di più ai ceti affluenti, che hanno una rilevanza statistica modesta ma sono capaci di imporre la tendenza. Formate le convinzioni, l’intendenza seguirà. E Siniscalco farà il piacere di adeguarsi, anche se adeguarsi non è così comodo: il ministro dell’Economia, professore in aspettativa di economia politica all’Università di Torino, figura eminente di quel network modernista che raccoglie ambientalisti come Ermete Realacci e Chicco Testa, e che in passato ha raccolto a Milano il meglio dell’intellighenzia economica di centro-sinistra, il potere bancario illuminato impersonato da Alessandro Profumo, la mondanità intelligente del côté rutelliano, una sola cosa non può permettersi: perdere la faccia di fronte al suo gruppo dei pari, ossia alla comunità degli economisti. Aveva esordito con un messaggio rassicurante: «Tranquillità, sobrietà, credibilità». Operazione verità sui conti, apprezzata perfino dal nemico storico di Tremonti, Vincenzo Visco, con l’assicurazione che i suoi numeri erano indubitabili, onesti, esatti al centesimo, «anche Tremonti avrebbe presentato lo stesso quadro». Per far digerire agli uomini del governo la terra desolata davanti a loro, aveva illustrato un gradevole programma di crescita e di ritorno alla competitività. Ma qui cominciano gli inconvenienti: la crescita al 2,1 per cento del Pil individuata come media fra le previsioni di Confindustria, Prometeia, Commissione europea, Fondo monetario, deve scontare l’exploit del prezzo del petrolio. Da riunioni riservate della Confindustria filtra l’ipotesi di un ridimensionamento sensibile, fino all’1,3 per cento. Dentro la Banca d’Italia sono meno pessimisti ma alcune fonti fanno capire che il tasso di crescita ipotizzato dal ministro possa essere irraggiungibile, con questi chiari di barile. Sicché Siniscalco deve passare alla difensiva. Per consentire il taglio fiscale che Berlusconi reclama, deve cercare tagli di spesa e maggiori introiti. Detto fatto: ma il tetto del 2 per cento sulla spesa, mutuato dal metodo del laburista inglese Gordon Brown, rischia di essere un valore solo nominale, dal momento che le modalità della spesa pubblica sono agganciate a specifiche norme di legge, e dunque occorrerebbe indicare tutte le leggi da cambiare per ottenere quel dato. Senza calcolare che il contratto dell’impiego pubblico è già stato sottratto al vincolo, come vogliono gli interessi di An, e l’assalto alla diligenza in aula potrebbe avere effetti deleteri, aprendo un effetto slavina. E fossero solo qui, i problemi. Per rastrellare i soldi del taglio fiscale, Siniscalco aveva previsto una serie di misure di "manutenzione dell’imponibile", dall’aggiornamento degli studi di settore alla ridefinizione delle tasse sulle rendite finanziarie. Ancora poche ore prima di varare la nuova curva delle aliquote, aveva riunito i collaboratori ordinando che i 6,5 miliardi di euro necessari per l’abbattimento fossero reperiti con tagli reali alla spesa pubblica: «Voglio che sulle tasse ci sia una copertura solidissima: tutti gli occhi in Europa saranno proprio sulla copertura». Per la verità, Berlusconi aveva fatto gli occhi cattivi su alcuni provvedimenti che minacciavano di colpire proprio l’elettorato di Forza Italia e della Casa delle libertà. A un certo punto si era avuta la sensazione che il governo, arrivato alla canna del gas, fosse pronto a fare ciò che fanno i regimi in via di fallimento, cioè vendicarsi sui propri sostenitori. Commercianti, piccoli imprenditori, popolo delle partite Iva, rentier, possidenti. Era dovuto intervenire personalmente il premier, per indurre Siniscalco a una maggiore elasticità politica. Anzi, per qualche ora si era diffusa persino la voce, maligna, perfida, una manovra teleguidata da vicino o da lontano, che il ministro dell’Economia fosse giunto a minacciare le dimissioni. Con il che finisce per il momento la novela di Siniscalco, in attesa della prossima puntata. Perché in realtà la Finanziaria nessuno sa che cosa sia. Viene scoperta giorno per giorno in un poker dove nessuno conosce bene le carte cambiate. Aggrappato con tutta la sua forza alla propria dignità di economista, il ministro dell’Economia compie sforzi sovrumani affinché non arrivi un giudizio distruttivo da parte di Giavazzi, o di Salvati, di Penati, di Spaventa. Lo hanno consolato le parole di Geminello Alvi sul "Corriere Economia", secondo cui la manovra approvata dal Consiglio dei ministri «protegge gli statali, tassa gli autonomi, riduce i sussidi alle imprese e non può dirsi una Finanziaria per i ricchi». Ma non basta: prendendosi la successione di Tremonti, Siniscalco ha compiuto una scommessa altissima su se stesso. Paradossalmente, ma non troppo, il suo primo obiettivo non consiste tanto nel quadrare i conti dissestati dal centro- destra, ma nel salvare la propria credibilità pubblica e professionale. Manovra vuota, dice la Confindustria. Manovra restrittiva, sottolinea Luca Cordero di Montezemolo. Manovra semivuota, echeggia nelle stanze governate da Antonio Fazio (anche se il governatore si tiene in continuo contatto con il ministro). E Siniscalco non ha un paracadute politico. Può guadagnare tempo, mentre Berlusconi gli ordina di fare anche i giochi di prestigio per consentire alla Casa delle libertà di rivincere le elezioni. È così abile, il super-Domenico, che può giostrare ancora qualche mese. Ma alla fine sarà difficile che ci siano due vincitori. O vince lui, e il rigore assomiglia in qualche modo al rigore, oppure vince Berlusconi, e i conti pubblici sono una variabile dipendente dall’interesse elettorale. A occhio, anche la sorte di Siniscalco è incerta: perché sopravvivere alla dinamica dei conti pubblici e agli imperativi del Cavaliere è un esercizio di equilibrismo probabilmente superiore anche alle straordinarie doti acrobatiche del ministro dell’Economia. A meno che, si sussurra nei palazzi del potere, non riesca a Siniscalco ciò che non era riuscito a Tremonti: ovvero lo sfondamento, concordato con i tedeschi, del Patto di stabilità, con l’esclusione dai conti pubblici della spesa per investimenti. "Golden rule", si chiama in gergo. A quel punto il gioco di prestigio sarebbe riuscito, con un’eleganza europea inoppugnabile. Berlusconi potrebbe governare in deficit l’ultimo tratto di legislatura, e l’incubo del default finanziario trascolorerebbe nell’incubo della sconfitta per il centro-sinistra. Con l’ennesima ironia del professor Domenico, uomo di centro-sinistra, che salvando la faccia salverebbe la vita politica del Cavaliere.

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