Storie europee, storie democristiane, storie non democristiane. Agitare e versare. Nella violenta crisi politica che ha investito la Casa delle libertà, forse la storia principale del cocktail avvelenato è quella di un non democristiano, il professore filosofo Rocco Buttiglione. L’uomo che a suo tempo affossò il Partito popolare, determinando la scissione e la diaspora. L’allievo di Augusto Del Noce, il ciellino critico, l’integralista liberale, «l’investimento sbagliato di Mino Martinazzoli», come dicono i suoi vecchi colleghi rimasti nel centrosinistra. Ricapitoliamo: mentre Marco Follini esercita il suo forcing più spregiudicato e audace, minacciando di portare l’Udc all’appoggio esterno, Buttiglione tratta. Negozia con Silvio Berlusconi la sua collocazione a Bruxelles, come commissario dell’Unione europea. È un sogno politico, un ideale, lo scopo di una carriera. Perché il ruolo europeo può significare l’occupazione di una poltrona prestigiosa, ma non soltanto: potrebbe significare anche l’opportunità di un proprio rilancio come protagonista dentro il Partito popolare europeo. Lo sanno tutti che i pudori politici, le dissimulazioni, il galateo istituzionale, in Europa, sono ipocrisie pubbliche: i commissari si trovano regolarmente nelle cene del Ppe, che rappresentano occasioni informali di confronto fra posizioni tecnocratiche, quelle della Commissione, e scelte politiche, quelle dei Popolari. In tutta la sua vicenda politica, il commissario Rocco non ha mai perso di vista un possibile approdo europeo. A suo tempo, inizi degli anni Novanta, ha fatto il possibile per cercare e trovare un contatto con il più potente democristiano continentale, sua maestà Helmut Kohl. Lo incontrò finalmente a un Meeting di Comunione e liberazione a Rimini, a cena, con Kohl che discuteva pensosamente dei temi critici del papato wojtyliano in relazione alla società contemporanea. «Vedete», diceva Kohl, «c’è un problema fondamentale per la società tedesca, che deriva dalla rigidità del Vaticano sulla morale sessuale», intendendo che le direttive del magistero ecclesiastico potevano risultare incomprensibili rispetto alla modernità tendenziale dei comportamenti individuali. Buttiglione obiettò che di fronte alla dogmaticità delle prescrizioni, rispetto alla varietà dei comportamenti privati, era chiaro che in Italia i confessori chiudevano pragmaticamente un occhio o tutti e due. Kohl esplose: «Roma deve piantarla di imporre leggi che poi dobbiamo seguire noi!». Aneddotica minore, che tuttavia contribuisce a illuminare la personalità politica di Buttiglione. Pragmatico fino alla spregiudicatezza assoluta. Settario come può essere chi non è abituato alle mediazioni di marca scudocrociata e che quindi può interpretare recite a soggetto. Nemico giurato di Romano Prodi, perché Prodi è "l’incidente" suscitato da Nino Andreatta, il leader inventato dopo il patto che Buttiglione aveva stretto a Gallipoli con Massimo D’Alema, il bastone nelle ruote al professor Rocco. Il quale si è convinto di essere, alla sua maniera, l’unico erede intellettuale di Sturzo, del popolarismo, della tradizione cattolica in politica. L’idea di Buttiglione è sempre stata quella di trovare un ruolo in una grossa formazione europea come il Ppe. Una posizione a cui poteva ambire José María Aznar, se non fosse stato per la drammatica batosta del leader post-franchista alle ultime elezioni spagnole. Aznar non è un democristiano: come ha evocato in una delle sue esternazioni più sulfuree l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, «dietro Aznar si sente il fetore delle caserme franchiste». La pesantissima sconfitta del leader popolare spagnolo dopo l’attentato dell’11 marzo ha riaperto tutti i giochi. Berlusconi tratta a tavoli aperti. Il capo di Forza Italia ha la certezza che la spedizione a Bruxelles di Buttiglione, insieme con l’ingresso di Follini nel governo, possa risolvere il puzzle della crisi. La situazione è resa complicata dal siluramento di Giulio Tremonti e dalla trattativa intavolata con Mario Monti, sostenuto dai poteri forti, Marco Tronchetti Provera e Luca Cordero di Montezemolo in prima linea, con il presumibile appoggio del Quirinale. Fallito l’inserimento del tecnico nell’esecutivo, la riconferma di Monti come commissario rappresenterebbe una via d’uscita indolore, stante la ribadita disponibilità di "Supermario" a continuare il mandato nella Commissione (resa evidente anche da un colloquio con il presidente in pectore della Commissione, il portoghese Barroso). Agli occhi di Berlusconi, la designazione di Buttiglione aveva un vantaggio tattico formidabile, e cioè la possibilità di dimostrare l’incomprensibilità della posizione guerrigliera di Follini. Il filosofo Buttiglione si è prestato. Ha giocato una partita personale, del tutto indifferente alle sorti dell’Udc. Con l’abilità del grandissimo "jongleur" che aveva dimostrato dieci anni fa (allorché non aveva esitato a impugnare l’esito del Consiglio nazionale democristiano che lo aveva visto battuto sulla linea di schierare i Popolari con il Polo, e successivamente a distruggere l’unità del partito cattolico), Buttiglione ha concluso l’accordo con il capo del governo. A Bruxelles, a Bruxelles. In un ruolo che gli consentirà di giocare di sponda con il governo italiano. Ed eventualmente di fare a cazzotti con Prodi, se Prodi vincerà le elezioni. Lo sconfitto, inutile dirlo, è Follini, almeno nel breve periodo. Il quale non ha potuto opporsi al modulo politicista di Berlusconi. Se l’Udc aveva messo in chiaro che le riforme costituzionali, devolution in testa, non potevano essere macinate nella trattativa fra i partiti, il Cavaliere ha sbattuto in faccia agli alleati centristi che l’impianto della Costituzione riformata è una subordinata del compromesso fra gli alleati. Detto più in chiaro, Berlusconi è disposto a offrire in sacrificio alla stabilità del suo governo qualsiasi riforma costituzionale, e non importa se ciò lo pone in rotta di collisione con l’opposizione, con segmenti della sua stessa maggioranza: «Soprattutto con noi dell’Udc», dice Follini, «che abbiamo una tradizione culturale riconoscibile e siamo depositari di un’ispirazione nazionale e di un atteggiamento altamente rispettoso delle istituzioni». Ma il gioco dei quattro cantoni ha funzionato davvero? La sistemazione di Buttiglione nella Commissione europea ha prodotto la quadratura del cerchio? I pasdaran dell’Udc come Bruno Tabacci hanno definitivamente rinfoderato le armi o la tregua è apparente? Secondo Follini, nonostante il passo indietro, la moratoria degli emendamenti alla riforma costituzionale, la partita resta aperta: «I nostri argomenti, cioè una devolution corretta dall’interesse nazionale e un premierato più temperato, restano all’ordine del giorno». Se ne riparlerà in aula, e il viatico europeo a Buttiglione non chiude i conti. Come dicono i fedelissimi di Follini, il gioco sulle riforme costituzionali costituisce uno dei temi politici fondamentali. An dovrà presentarsi alle elezioni regionali del 2005 con un risultato visibile sul premierato. La Lega può accettare qualche limitazione della devolution, ma deve offrire ai suoi elettori uno scalpo federalista. Per adesso, si può dire che intorno alle ambizioni europee di Buttiglione si è giocato un match complicatissimo. Reso ancora più complesso dal mutare degli atteggiamenti nel giorno per giorno. Mentre il pesce pilota Buttiglione conduceva la sua danza, Pier Ferdinando Casini passava da un sostegno esplicito a Follini a una posizione più cauta, volta a evitare la rottura con Berlusconi. Il segretario dell’Udc si è trovato privo della soluzione più chiara, l’appoggio esterno all’esecutivo berlusconiano: «che avrebbe significato un nuovo inizio per il centrodestra, con la possibilità di coltivare un progetto moderato che può essere capito dal paese». Ossia un riequilibrio, uno spostamento d’asse. La prefigurazione di un’ipotesi neocentrista, una proiezione nel lungo periodo. Buttiglione ha risolto un problema personale, Follini cercava una soluzione di sistema. Per ora, sulla ruota della Cdl è uscito un commissario europeo. Sulle questioni di sistema, se ne riparla. Anche se qualcuno, non Buttiglione, è più debole.
05/08/2004