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Il dopo Berlusconi è già cominciato

01/07/2004

Fatti i conti, Silvio Berlusconi è l’unico vero grande perdente delle elezioni europee. Sostenere il contrario, ovvero che l’area di governo ha tenuto (a differenza degli altri governi europei di destra e di sinistra puniti dagli elettori) è un escamotage retorico, poiché confonde il voto proporzionale con il voto maggioritario. Si votava per i partiti, e il partito del capo del governo ha preso una mazzata storica. Semplice avviso di medio termine, senza conseguenze sulla leadership di Berlusconi? È una diagnosi troppo misericordiosa. Secondo un osservatore attento alle implicazioni collettive e sociali dei processi politici, Ilvo Diamanti, il voto del 12-13 giugno ha sancito la fine di un "irreality show" durato dieci anni. Le conseguenze sono ancora tutte da valutare, perché è probabile che le tensioni dentro la Casa delle libertà possano salire molto di tono: è indicativo ad esempio il caso di Bergamo, con la scelta leghista di invitare al voto per il candidato del centrosinistra; mentre sarà di qualche interesse vedere l’esito del voto per la Provincia di Milano, che a questo punto assume quasi il senso di un giudizio di Dio sulla tenuta della coalizione e dell’elettorato di centrodestra. Berlusconi aveva tentato di operare uno scambio immediato con la Lega: la promessa dell’approvazione della devolution in cambio dell’appoggio ai ballottaggi. Cioè un vantaggio tattico spicciolo barattato con la riforma della Costituzione. Può darsi che nemmeno questo basti. In parte perché l’asse con il movimento di Bossi costituisce un punto di conflitto stridente con gli altri due alleati, Udc e An; ma anche per ragioni più ampie e profonde. Negli ultimi mesi, infatti, il capo di Forza Italia ha dato l’impressione di avere perso la spinta. Le convention principali (l’assemblea per il decennale della "scesa in campo" e il congresso del partito) sono apparse una scontata ritualità celebrativa. I discorsi pubblici si sono rivolti all’indietro, ripescando un repertorio consunto. La stessa campagna elettorale è stata deludente, ai limiti dell’incomprensibilità, al punto da segnalare una distanza inedita tra le attese dell’elettorato che aveva creduto nel sogno azzurro e il fiacco messaggio attuale del leader. Da un lato, allora, finisce la sintonia fra il "popolo" e l’Unto. Per un altro verso, gli alleati Udc e An reclamano un riequilibrio. E mentre Gianfranco Fini ha attaccato il potere di Giulio Tremonti, punto di raccordo tra Forza Italia e Lega, Bruno Tabacci è andato per le spicce, e ha rivolto l’attacco direttamente sul Cavaliere. La sua iniziativa, la richiesta di un nuovo governo Berlusconi, è stata giudicata diplomaticamente come una opinione personale. Ma la schiettezza di Tabacci, un politico serio e duro, rende chiaro che in questo momento nella Casa delle libertà c’è un problema Berlusconi, e che in futuro si delinea il problema del post Berlusconi. La prospettiva sarebbe inquietante per il Cavaliere se si ricordano le parole di Fedele Confalonieri, «finirà come a Piazzale Loreto». Ma naturalmente non c’è alcun bisogno di eventi traumatici. Per la prima volta in dieci anni la politica fa sapere che forse non c’è più bisogno della figura di Berlusconi come perno del sistema politico italiano, artefice del bipolarismo, titolare del contratto con gli italiani. Dipenderà anche dall’ambizione e dalle capacità delle maggiori figure politiche del centrodestra, ma per il paese, la società italiana, l’opinione pubblica comincia a profilarsi la possibilità di accompagnare gentilmente all’uscita Berlusconi. Ciò che prima era un’assurdità oggi è un barlume. Se si fa strada l’idea che la normalizzazione dell’Italia contemporanea passa anche attraverso la normalizzazione di Berlusconi, ci sono due vie per arrivarci: il logoramento quotidiano, fra le contraddizioni della maggioranza, gli strappi in avanti e le battute d’arresto; oppure l’invenzione di un salvacondotto politico: non il sacrificio del capo, bensì la sua neutralizzazione. Anche se è chiaro che per neutralizzare Berlusconi ci vuole il coraggio di rischiare la propria faccia. E toccherà ai capi del centrodestra decidere se restare sotto lo scudo del Cavaliere declinante oppure tentare un colpo di fantasia politica.

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