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Professor Ottovolante

24/06/2004

Un miracolo. Diciamo uno scampato pericolo? No, proprio un miracolo. Facciamo un miracolino? No, un miracolo fatto e finito. Nell’ambiente prodiano, da Arturo Parisi a Giulio Santagata, l’inner circle di "Romano" smonta con ostinazione la teoria della delusione sul risultato della lista "Uniti nell’Ulivo". Arturo Parisi ha fatto e rifatto i conti sul suo computer, aggiungendo, sottraendo e comparando. Al termine di un esercizio di fredda cura analitica salta fuori un piccolo segno positivo. Una minuzia, ma in quei conteggi c’è la dimostrazione matematica che nel voto europeo il Triciclo non ha perso voti rispetto alle sue componenti. D’altronde, sostiene l’ambiente, Silvio Berlusconi ha visto volatilizzarsi quattro milioni di voti, quasi il 9 per cento rispetto alle elezioni politiche: e noi stiamo a sindacare su qualche decimale di punto che dimostrerebbe il fallimento del Listone e la fine politica di Prodi? Storie. Sulla valutazione del voto occorre tenere conto di due dimensioni distinte. Il lato psicologico e il lato logico. Psicologicamente il risultato del Triciclo è stato condizionato dalle aspettative eccitate dai sondaggisti, e in qualche caso dalle sparate di qualche protagonista esuberante come Massimo D’Alema («Se noi facciamo il 36 e Berlusconi fa il 19, il governo va a casa»). Ancora nella serata di domenica 13 giugno, i pollster indicavano per la lista prodiana risultati sensibilmente più alti del 31,1 per cento finale. Al punto che nelle dirette televisive della serata elettorale Piero Fassino si è lasciato andare alle sue ormai celebri e sterili esecrazioni contro la «manipolazione» del risultato attraverso exit poll e proiezioni (commento: la manipolazione c’era, ma era tesa a proiettare nel pubblico un risultato morbido per Berlusconi, in modo da influenzare i titoli dell’indomani). Dal punto di vista logico, invece, se vogliamo fare l’esame di coscienza e magari recitare l’atto di dolore per la lista unitaria, bisogna ragionare diversamente. Conviene mettere realisticamente in fila i buchi neri del listone. Il primo è un buco colossale: la mancata valorizzazione del simbolo. L’elettore generico si è trovato di fronte a un lenzuolo con 25 contrassegni ed è dovuto andare a cercarsi l’Ulivo con pazienza certosina. Qualcuno stima che si sia realizzata una percentuale di errori, nell’espressione del voto, vicina all’1 per cento. Pazienza, anche se per un’esperienza inedita come il Listone il mancato investimento sul simbolo elettorale è una castroneria spaziale. I buchi neri successivi sono invece tutti politici, in parte necessitati, in parte frutto di interessi politici in attrito. È mancata, per forza di cose, una regia unitaria, e un luogo in cui esercitarla: l’impossibilità di candidarsi da parte di Prodi ha inibito la personalizzazione, ossia la possibilità di collegare al Triciclo la figura del capo, e questa distanza ha significato un debolissimo esercizio della leadership. Mettiamoci anche una serie di elementi di contorno. La scelta di non presentare i leader di partito, tranne D’Alema al Sud, ha affievolito il richiamo della lista, a dispetto di qualche invenzione vittoriosa come la candidatura di Lilli Gruber, premiata da un plebiscito di preferenze. Infine, era sotto gli occhi di tutti che il Listone agiva con una logica maggioritaria dentro il sistema proporzionale (secondo lo stesso Prodi nella sua recente intervista a "L’espresso": «un tuffo ad alto indice di difficoltà, carpiato, con due o tre avvitamenti, magari con giudici di gara non proprio amichevoli…»). La triste scienza dei praticoni della logica elettorale aveva già avvertito che incombeva lo schema implacabile "uniti si perde" e che la somma è sempre inferiore alle sue parti. E va aggiunto che la faticosissima costruzione delle liste per le amministrative, dentro un contorno di trattative estenuanti, di ritagli di potere, di spartizioni complicatissime, ha contribuito a diffondere l’idea che all’atto pratico ogni partito giocava per sé, altro che lista. Insomma, la partita si svolgeva tutta fuori casa. Ma non è finita: il risultato elettorale, con quel 13 per cento conquistato dall’area esterna a sinistra del Triciclo (Comunisti italiani, Verdi, Rifondazione comunista) stabilisce per il futuro un complicato rapporto con i partiti collettori del no alla guerra in Iraq. Su questo aspetto specifico la lista unitaria ha giocato un match praticamente indecifrabile: gli strappi di Francesco Rutelli, con lo scavalcamento a sinistra ai danni di Fassino, hanno portato il centro-sinistra alla presentazione della mozione per il ritiro delle truppe italiane, proprio mentre la situazione diplomatica internazionale dava segnali di movimento. Successivamente, l’intervista al "Corriere della Sera" dell’autore del programma ulivista, Giuliano Amato, in cui si definiva uno «sbandamento» la mozione, ha comunicato agli elettori incertezza su un tema delicatissimo per una forza di governo. Può darsi che tutto l’atteggiamento sull’Iraq abbia influito soprattutto sul giudizio delle classi dirigenti, e non sulla generalità dell’elettorato, ma ha comunicato una tonalità contraddittoria, una specie di mobilità delle convinzioni che non ha offerto un’idea particolarmente brillante della coerenza del Triciclo. Tanto più che in prospettiva la lista unitaria deve affrontare almeno due temi piuttosto caldi. Da un lato infatti c’è la cattiva prestazione della Margherita, resa visibile alle elezioni provinciali da un risultato sotto il 10 per cento: «Se non c’era il Listone», è il commento all’interno del clan prodiano, «sarebbe stato un disastro, perché la combinazione di una Margherita bassa con i Ds alti, al 23 per cento, avrebbe potuto scatenare effetti disgregativi catastrofici». Nelle riunioni immediatamente convocate dopo la domenica elettorale, Parisi ha frenato entusiasmi e delusioni. Ricordatevi, ha detto, che l’Italia rimane fondamentalmente un paese di centro-destra. Anche un’analisi ragionieristica sembrerebbe confermare questa diagnosi. A dispetto di un corale giudizio negativo sull’azione di governo, gli elettori non si spostano dalla Casa delle libertà all’Ulivo. Secondo alcune elaborazioni, si può stimare in una quota non superiore al 2 per cento il voto di Forza Italia trasferitosi al Listone. Il pollice verso all’esecutivo rifluisce in parte nell’astensione e in parte fra gli alleati della Casa delle libertà. Il tema più bollente è comunque il malumore nella sinistra Ds, tra le file del Correntone, dove il Triciclo viene liquidato da Salvi e Folena alla stregua di un rottame politico. Affiora di nuovo la tentazione della "gauche plurielle", e sullo sfondo si staglia la figura incombente di Walter Veltroni come leader di raccordo fra centro, sinistra e movimenti. Per Prodi si profilano sei mesi sull’ottovolante. Ma il suo chirurgico blitz martedì 15 giugno, con la pubblicazione su "la Repubblica" di un nuovo manifesto, volto alla realizzazione in autunno dell’assemblea costituente dell’Ulivo, ha messo i bastoni fra le ruote a tutti coloro che avevano accolto con il mal di pancia l’iniziativa unitaria. Dire di no a Prodi significherebbe tagliare le gambe alla sua difficile leadership. Ed è per questo che nonostante la sorpresa (e talvolta l’irritazione evidente anche nella Margherita) con cui è stata accolto, il manifesto ha ottenuto un risultato. Cioè di fissare l’esperienza del Triciclo come qualcosa a cui non si può rinunciare per impazienza o per insofferenza. La sinistra è talvolta geniale nell’escogitare il modo di farsi del male. Tuttavia adesso c’è il «punto di partenza» (definizione dello stesso Prodi) per sviluppare l’esperienza unitaria. E allora c’è qualcuno che vuole assumersi esplicitamente la responsabilità di buttare per aria tutto e di ricominciare da capo? C’è davvero in campo l’ipotesi tafazzista di rifare la "gioiosa macchina da guerra"? È vero che la fantasia masochista della sinistra è sconfinata, ma questa volta, dice il votatissimo Enrico Letta, «abbiamo tutti un impegno non soltanto con le nomenklature ma con 10 milioni di italiani che hanno investito su questa novità». Dimenticarsi degli elettori non sarebbe un esempio di acutezza politica superiore.

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