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Panarari cita Berselli su “La Stampa” dell’ 11/9/2014


LA PARABOLA DEL MODELLO EMILIANO

Così è andata in crisi l’idea del socialismo realizzato dai ceti medi. C’era una volta il modello emiliano… Che, visto con gli occhi dell’oggi, appare una (bella) favola lontana, ormai perduta nel tempo e nello spazio, come un regno che non c’è (più).
L’inchiesta per peculato che ha fulminato le primarie dem per la presidenza della Regione rappresenta soltanto la punta di un iceberg che da qualche tempo si sta rapida-mente squagliando, a dispetto delle rassicurazioni e dei proclami di una classe politica locale sempre più conservatrice e trinceratasi, salvo alcune eccezioni, dietro automatismi e liturgie immote. La spinta propulsiva di questa via territoriale alla socialdemocrazia si è in-franta contro le mareggiate altissime di fenomeni tra loro differenti – dalla globalizzazione all’immigrazione, dal nuovismo postideologico all’antipolitica (qui si tennero il primo V-day e la «Woodstock» grillina), dal-l’abnorme espansione edilizia sino alla postmodernizzazione degli stili di vita – che mal si conciliano con il carattere di fondo su cui si era costruita questa esperienza di «governance integrale». Vale a dire l’idea del «so-cialismo realizzato dei ceti medi» in una regione saldissima dal punto di vista dell’orientamento politico (con i cattolici talvolta come contraltare e, talaltra, quale sponda dialettica), e assai omogenea sotto il profilo sociale, con un amore sfrenato per la stabilità, e gli annessi pro (l’inclinazione alla coesione sociale) e contro (a partire da una certa tendenza al conformismo). Un posto di donne e uomini operosi e di «vite da mediano» (per citare la gloria giocai Luciano Ligabue), che potesse diventare una vetrina di governo per le sinistre nel nome del riformismo e della «cetomedizzazione» ante litte-ram (come esplicito Togliatti, nel 1946, nel suo famoso discorso Ceti medi ed Emilia rossa).
Generazioni di amministra-tori, quadri di partito, cooperatori e dirigenti di organizzazioni collaterali si applicarono alla mission, fornendo un contributo rilevante – tanto per fare un paio di esempi – alla creazione dei distretti industriali come alla promozione degli «asili più belli del mondo». Il punto, però, è che nella vita niente è eterno, e anche i migliori modelli vanno – almeno – manutenuti e, meglio ancora, aggiornati e rinnovati, mentre ultimamente gli eredi del partitone maggioritario hanno dato l’impressione di essersi seduti sugli allori, omaggiando eccessivamente la massima indigena «volare bassi e scmvare i sassi» e rinunciando a governare sul serio (figurarsi l’anticipare…) una realtà che mutava alla velocità,del-la luce e si omologava a quanto accadeva al di là del Po e oltre la via Emilia.
È quindi significativo che siano arrivate le indagini giudiziarie a dare il colpo di grazia al pa-radigma virtuoso, ferendo gravemente la disciplinata, ma oramai insofferente, opinione pubblica emiliano-romagnola in ciò che comunisti e affini avevano di più caro: la narrazione della diversità, innanzitutto morale, che si dilatava fino all’irriducibilità quasi «antropologica».
Si aggiunga a ciò che nelle generazioni di militanti più in età serpeggia una visione del renzi-smo quale foglia di fico di una specie di De (postmoderna) e il dado è tratto. E quel gran pezzo dell’Emilia, impareggiabilmen-te cantato da Edmondo Berselli, ha smesso di essere felix.

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