La fine del modello emiliano e una politica regionale narcisista
In queste ultime settimane si è assistito al crollo del cosiddetto “modello ” emiliano, segnato pe-santemente dal durissimo scontro fra i democrat renziani, entrambi astri nascenti modenesi, Ri-chetti, un ante-marcia della covata cattolica post-Gorrieri.che poi ha rinunciato alle primarie, e Bonaccini, un renziano dell’ultima ora, quadro e-mergente nell’apparato ex-comunista, convertito sulla via di Damasco, ( per conservare il potere di comando nella maggiore istituzione regionale). Su questo inesorabile destino degli eccellenti e bril¬lanti politici nostrani, abbiamo letto alcune interessanti e lucide analisi critiche , che condividiamo in pieno. Un articolo di Massimiliano Pa-narari su ” La stampa “(11/9/14) e un breve saggio di Pierluigi Magnaschi su ” Italia Oggi/MF ” (1/9/14). Sono valutazioni ben argomentate, talvolta spietate, di quel blocco social- economi-co-politico-amministrativo dell’ Emilia Felix, che poteva sembrare immarcesibile e di lunga durata, anche se traccie di contraddizioni, già apparivano al leggero tocco di un grande narratore come il compianto Edmondo Berselli, direttore della grade rivista ” Il Mulino ” ed autore, sul filo delle nostalgia, del noto volume ” Quel gran pezzo dell’ Emilia “(2004).
A dirla tutta la crisi del modello, aveva già dato i primi segni di cedimento, a partire dell’elezione nel 1999 di Giorgio Guazzaloca a sindaco di Bo¬logna. Intanto la candidata sconfitta, un ex-con¬sigliera regionale PCI, Errani l’aveva subito con¬solata , sistemandola per bene ai vertici di una struttura della Regione per curare i rapporti con gli emiliano-romagnoli emigrati all’estero . La situa-zione è poi peggiorata con i successivi sindaci di sinista, ora PD a tutti gli effeti, Sergio Cofferati, un disastro per Bologna poi ricompensato con un seggio al parlamento, e il prodiano Flavio Del Bono , già vicepresidente della Giunta Regionale , che solo sette mesi dopo l’insediamento a Palazzo Accursio, ha dovuto abbondonare lo scranno nei primi mesi del 2010 , per l’avvio a suo carico di una indagine per corruzione nell’affare Cinziagate, accuse poi confermate con un recente rinvio a giudizio. Si dice che la magistratura bolognese abbia tenuto
una tempistica troppo dilatata nelle indagini, che riguardano Richetti, Bonacini ed altri, attorno all’ipotesi non peregrina di peculato nella gestione dei fondi pubblici, attribuiti a larghe maglie e con faciloneria ai gruppi consiliari. Ma l’anomalia non è da imputare alle procure ” giustizialiste “, bensì alle leggi “ingorde” che le assemble regionali si sono votate, quasi all’unanimità, non ultima, quella dell’Emilia-Romagna, anche lì per saziare gli ap¬petiti senza fine degli apparati politici. Questo è potuto accadere a seguito della entrata in vigore di scellerate riforme costituzionali ( come la legge cost. n.1/1999 e n.3/2001), non sufficien¬temente ponderate dai Governi Prodi e D’Alema,, nelle speranza di rincorrere e superare il becero neo-federalismo leghista ( icastica denuncia di Marinazzoli ), per arrivare a conferire alle Regioni più autonomia e più poteri legistivi e amministativi , i cui esiti devastanti sono a tutti noti. Essi vanno dalla crescita esponenziale della conflittualità fra Stato e Regioni, dalle conseguenze inedite del-l’elezione diretta cosidetti “governatori “, con ge-stioni accentrate e sempre più personalistiche, con presidenti di Regione, sempre più impelagati in non esemplari vicende giudiziarie , fino allo sper¬pero irresponsabile delle risorse nel funzionamento della macchina poltica e burocratica regionale (crescita delle indennità, esagerata autonomia di spesa dei gruppi consiliari, convegni inutili e ri¬petitivi, creazione di strutture e società parallele ). Si pensi solo che il presidente della nostra Regione, per successivi interventi modificativi sullo Statuto e sui Regolamenti, ha un apparato ple¬torico di personale al suo servizio, che alla fine appare eccessivo rispetto alle sue specifiche fun¬zioni istituzionali, un vera e propria corte fun-zionariale , un “narcisismo ” nell’esercizio della leadership che fa a pugni con le ormai dimenticate tradizioni sobrie e severe dell’Emilia, rossa e bian-ca.degli anni ’50 e ’60.Va bene che l’ultimo Errani da oltre sette anni era quasi sempre a Roma, a presiedere la Conferenza Stato-Regioni…ad incon¬trare Governo e Ministri, e più di recente a di¬sbrigare i più spinosi “affari ” politico-partitici di Bersani.Ma a tutto c’è un limite ! Oltre alla segreteria particolare, con un funzionario respon¬sabile, Errani poteva contare su un Capo di ga¬binetto (che non era, come nei ministeri romani, un alto dirigente dello Stato oppure magistrato contabile amministrativo, questo ruolo a Bologna lo vediamo svolto da un più “pratico ” ex-par¬lamentare comunista ). Nel 2003 si è poi aggiunto alla “corte ” anche un Sottosegretario alla Pre¬sidenza (sic), per quest’ultimo si tratta di un nuovo incarico meramente “politico “, di una persona di assoluta fiducia che fa parte della Giunta senza esserne assessore, ma che porta in dote lo sti¬pendio e i benefici degli stessi. Sul sito la sua immagine viene infatti subito dopo quella di Errani, e prima di quella del vicepresidente di Giunta ( da sempre un illustre sconosciuto/a !).Questo signore,prima dell’incarico di “sottosegretario “, era stato per dieci anni come consigliere regionale ( totalizziamo 24 anni in Regione). Infine la corte si
chiude con il direttore generale agli affari isti-tuzionali e legislativi che ” di fatto “.trattandosi di collaudata collaboratrice, era sempre a disposizione della presidenza. Diamo appena un cenno anche alla presidenza dell’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna, che un tempo si chiamava più propriamente Consiglio Regionale. Per dirigere i lavori dell’aula, amministrare le prerogative dei cinquanta consiglieri (stipendi, missioni, personale adetto alle commissioni e ai rapporti con la società regionale) e per tutte la fasi tecnico-organizzative preparatorie, con il nuovo statuto dei primi anni del 2000, si è pensato di aggiungere altri due nuovi incarichi ( oltre ai cinque ” tradizionali ” ruoli, presidente, due vicepresidenti e due segretari, rimasti tali dall’inzio dell’Ente nel 1970) quello dei “questori “. Una funzione che se può avere una sua logica per la Camera ed il Senato , organismi che hanno diverse centinaia di componenti, che provengono da tutte le parti o” Italia, non ha alcun senso, anzi è ridicola, per una assemblea piuttosto contenuta come quella dell’Emilia-Romagna, che vede i suoi componenti provenire solo dalle nove province lungo la via Emilia. Anche per questo organo di vertice dell’ Ente Regione: ab¬biamo un presidente, dotato di una segreteria particolare, di un capo di gabinetto e di una direzione generale : chi più ne ha, più ne metta ! Questa operazione di allargamento negli apparati assembleari,a dire il vero, non è solo frutto dei voleri della maggioranza, ma anche dell’oppo¬sizione di destra – pure essa innamorata del bipolarismof lo vediamo adesso nel rapporto pre¬ferenziale Berlusconi-Renzi ) – e non aliena di appettiti di quella natura. Se il provocatorio ma preveggente card. Biffi nel 1985 battezzò l’Emilia come “sazia e disperata “, adesso non siamo lontani nel vero nel battezzare la sua classe di¬rigente come ” ingorda e narcisista “. (luigi Bottazzi)