EMILIA, LO “SCANDALO IDIOTA” E LA DIVERSITA’ PERDUTA
No, l’Emilia-Romagna non è una regione azzoppata. Ora è una regione senza gambe.
Amputata. Prima la vicenda di Vasco Errani, adesso quella dei candidati indagati per peculato. Una storia tragicamente ridicola, comunque finisca, fotografa un dramma colossale per questa terra: la fine, l’inesistenza di un ceto dirigente politico, che ha permesso prima la farsa dei rimborsi-spese regionali, poi non ha saputo gestirne le conseguenze. Fino ad arrivare al baratro aperto nelle primarie Pd. Abbia ragione o torto la magistratura, sta alla politica affrontare il prevedibile e persino l’imprevedibile. Non importa Max Weber che volle insegnare la politica ai politici, basta il cinico Francois Mitterrand: «Certi politici muoiono su barricate dove non sono mai stati».
Matteo Richetti e Stefano Bonaccini pagano più per quello che non hanno fatto — da presidente del Consiglio regionale e da segretario Pd dovevano controllare, guidare, punire, dare l’esempio — che per quello che hanno fatto. Aprendo spazi, di cui è difficile capire l’am-piezza, per Roberto Balzani, il professore di Forlì presentatosi come l’unico in grado di rinnovare costumi pietrificati e un Pd autoreferenziale trovatosi sconvolto nel suo tran tran. L’Emilia-Romagna comunque pagherà la figuraccia: chiunque sarà il suo presidente, ci vorrà del tempo perché sia presa sul serio. Dagli italiani e nei palazzi del potere. Altroché la presidenza della Conferenza delle Regioni con Errani. «Possiamo solo guardare al riformismo emiliano dell’Emilia rossa come a un lonta-no fantasma del passato, ignorato anche da chi ancora continua a fruire dei suoi frutti» ha scritto su Micro-
mega Lanfranco Turci, che dell’Emilia è stato presidente, modenese come Richetti e Bonaccini. E come Germano Bulgarelli, sindaco nella sua città, assessore in Regione, morto qualche settimana fa, monumento di un tempo perduto.
Il saggio di Turci è del 3 aprile. Analisi e capacità di previsione che farebbero bene ai nostri candidati. Uno «scandalo idiota» ha mostrato quanto le svolte qui siano sempre in ritardo e gattopardesche. Piaccia 0
non piaccia il renzismo, qui è stato solo un emigrare con armi e bagagli di capi che erano fino al giorno prima con Bersani, Errani, D’Alema. Senza mutare di una virgola cultura e comportamenti. Storia vecchia: per rompere con lo stalinismo in questa regione ci vollero tre anni, più della volpe Togliatti. Poi nel 1959 la svolta di Guido Fanti fu epocale e aprì la strada alla diversità emiliana. Fanti segnò la storia di Bologna come sindaco e dieci anni dopo cercò di proiettare la neonata Regione in un rapporto di interlocuzione forte non solo con Roma. Con l’Europa. Una visione interrotta, ripresa a sprazzi con Turci e Pier Luigi Bersani. Non un modello, era un progetto. Con la Regione casa-madre delle autonomie locali.
Miracolistico che ora possa sbucare un ragionamento della stessa am-bizione. Tolto il possibile (e complicato) ciclone Balzani, non si è stati davvero capaci di traghettare il Pei, di cui Bonaccini è l’ultimo rappresentante, nel Pd. Di rapportarsi con una realtà sociale e persino un mondo politico molto cambiati. Qui non sono crollati i muri, ma le sedie. La storia si ripete come farsa. Nella regione rossa, granaio di voti, coop, associazioni, antichi valori e finanziamenti, il Pd non è riuscito a costruire nulla dopo la macchina Pei. Pensiero debole, con capi deboli,
mentre la globalizzazione faceva sempre più strisciare l’omogeneità del Pensiero Unico. Il Pei era grande partito, organizzazione solida, metodo di selezione che funzionava pur nella cooptazione (Turci fu scelto come presidente della Regione dai cento maggiori dirigenti del Pei emilia-no-romagnolo e Berlinguer si arrabbiò). Utilizzava i concetti di classi sociali, ceti, conflitti, alleanze. Era il riferimento di una rete, con il suo ruolo imprescindibile di integrazione sociale e ideale, come ha raccontato Fausto Anderlini.
Finito questo, nella terra degli 80 mila iscritti, delle Feste dell’Unità, delle 700 sezioni che ora si chiamano circoli, dell’orgoglio del 52,5% alle Europee, non si è stati più capaci di creare e selezionare il ceto politico. Mentre mutavano la militanza, l’appartenenza, sempre a rischio di diventare liquide. Con il momento am-ministrativo – Vasco Errani ne è stato il massimo rappresentante – che egemonizzava se non schiacciava l’autonoma elaborazione politica. Sempre successo, ma la dialettica ora è inesistente. Successo dappertutto, qui però il Pd comanda su tutto e le responsabilità sono/erano molto superiori. Ben prima del boom Renzi. La politica è diventata guerra per bande, poteri personali, autocandidature, avventure; le consultazioni si sono avvitate su se stesse: vedi le primarie attuali, vedi altre precedenti.
La diversità era finita da un pezzo, l’etica si è sbriciolata nell’indifferenza, nel ridicolo (cosa avrebbe detto su questi giorni il super evocato Ber-linguer?). Intanto erano mutati i gruppi di riferimento, la classe operaia, il ceto medio, gli artigiani. Il Pd, non più partito del lavoro, è diventato Partito Cartello che insegue tutti, ma senza avere più una vera rappresentanza sociale e una forza per contrattare, mediare con le altre realtà regionali, imprenditori in testa. Cambiava anche il ruolo degli enti locali, di quello che — ha insegnato Carlo Galli — ha permesso la «costruzione di un universo sociale-amministrativo, di una società omogenea nella regione più storicamente composita d’Italia». Nell’indeboli-mento dei partiti, gli amministratori locali hanno sempre più fatto gara a sé, non di rado con ritorni al municipalismo e agli interessi locali. Secondo una ricerca dell’Istituto nazionale di urbanistica, l’Emilia-Romagna ri-sulta la regione che ha consumato
più territorio agricolo negli ultimi dieci anni.
Le coop sono sempre più gestite con ottiche private, le associazioni artigiane e commerciali «di sinistra» sono diventate anche loro rappre-sentanze professionali.
L’Emilia rossa si dileguava, il Pd non sapeva fare i conti con il nuovo. Un groviglio in cui nel dopo Errani ha cercato spazio pure il «partito dei sindaci». Messo fuori gioco dalle sue stesse divisioni tribali.
Eppure l’Emilia-Romagna continua ad andare avanti. Una ricerca dell’Università di Modena ha contato
più di trecento imprese multinazionali nella provincia. Alcune con il centro direzionale altrove, moltissime sul territorio. E così dappertutto, nonostante la crisi. Cercasi disperatamente amministratori in grado di aiutare questa realtà. Sebastiano Brusco, fondatore di Economia al-l’Università di Modena, mise in piedi persino un corso per politici, amministratori, sindacalisti. Cercasi disperatamente, in onore di un altro modenese, Edmondo Berselli, Quei gran pezzo dell’Emilia. Finendola, ecco un allievo di Berselli, il reggiano Massimiliano Panarari, con L’Italia da Gramsci al gossip.