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Taglierò le tasse sul lavoro

25/08/2005

I Prodi-boys, anche i più attempati, lavorano tutti, durante questo agosto variabile, clima estivo mutevole, atmosfera politica surriscaldata: si telefonano, si scambiano e-mail sui palmari, discutono, dissentono, convergono. In questi giorni gli uomini della tribù prodiana sono disseminati per l’Italia: il leader "Romano" ha abbandonato l’Appennino reggiano, la banda dei 101 fratelli, parenti, nipoti e pronipoti, e le escursioni sulla mongolfiera più grande d’Italia, per discendere la Penisola sulla sua nuova Croma, con la decalcomania, anzi emilianamente il "patacchino" dell’orgoglio automobilistico nazionale, "Io viaggio italiano": giù con "la Flavia" fino a Castiglione della Pescaia, sotto Punta Ala, dove lo aspetta il soldato Andrea Papini (il milite che ha resistito nella trincea della lista unitaria, fino al sacrificio estremo, alle bordate anti- uliviste di Ciriaco De Mita). All’uscita del casello di Firenze Certosa uno degli addetti lo ha riconosciuto e mentre incassava il pedaggio ha esclamato: «Professore, speriamo di vincere, questa volta!». Prodi lo ha preso come un buon augurio, una specie di indice di popolarità misurato "on the road". Il consigliere più sofisticato, Arturo Parisi, batte invece la costa della Sardegna fra Sassari e Alghero, respingendo a forza di dialettica i siluri dei Ds che l’hanno accusato di avere riesumato in modo pretestuoso la "questione morale". Eppure, commenta lui, se si rilegge la sua intervista al "Corriere della Sera" è piuttosto difficile trovare accuse dirette ai Ds. Si parlava piuttosto di un ambiente generale, in cui interessi molteplici potevano incrociarsi in chiave di scambio trasversale, mischiando le carte del confronto politico. E del rischio di raccogliere «una domanda di alternativa con una risposta di alternanza». Noi al posto degli altri. L’altro factotum di Prodi, Giulio Santagata, è laggiù nelle Puglie, vicino alla dalemiana Gallipoli, a preparare fra un bagno e l’altro schede per il programma, e a pensare al look del Tir giallo in preparazione per la campagna delle primarie. Eppure, solo a nominare il programma, "Romano" si infastidisce: «L’ho già detto e ripetuto, non c’è paese al mondo in cui si presenta un programma di governo dieci mesi prima delle elezioni. La realtà politica, economica, sociale va monitorata continuamente, il messaggio ai cittadini va tenuto ancorato alla realtà dei fatti. Altrimenti si fa della poesia». Ma allora alle primarie di che cosa si parlerà, su quali basi si svolgerà il confronto con gli altri candidati, e in particolare con l’oltranzista Fausto Bertinotti, quello che dice «lo Stato sociale non si tocca»? «Presenteremo le nostre linee guida, le nostre priorità, che saranno messaggi diretti per la società italiana, la sintesi del nostro atteggiamento rispetto ai problemi del Paese, cercando di far capire ai cittadini la nostra linea alternativa rispetto alla Casa delle libertà». Dal suo eremo pugliese, fra mattinate neghittose, pranzi molto lenti a base di fragranti grigliate di pesce, e durante tardi pomeriggi di puro attivismo, Santagata commenta: «Romano è concentratissimo sul problema della crescita, sa benissimo che questo è il primo punto di qualsiasi programma di centro-sinistra, perché siamo keynesiani anche noi, mica solo Siniscalco; in secondo luogo, sappiamo benissimo che oggi ci troviamo di fronte anche a un problema redistributivo rilevante, ossia a uno squilibrio creatosi fra il lavoro e la rendita: una situazione che in questa estate si potrebbe sintetizzare con lo schema "ombrelloni vuoti e posti barca pieni". Se si impoverisce il turismo di massa ed esplode il consumo di élite, ci sarà qualcosa che non va. O no?». L’argomento della crescita si rivela cruciale soprattutto se lo si mette a confronto con l’andamento generale dell’economia: prima la bocciatura dell’agenzia internazionale Standard & Poor’s, che vede ombre sull’intera politica italiana, non soltanto sulla destra, poi gli attacchi arcigni dell’"Economist", che liquida senza mercè il governatore Fazio, mette in maschera da Arlecchino l’Italia delle "commedie finanziarie" e infine tratta con freddezza lo stesso Prodi, perché «non è un leader». Senza poi contare il "rimbalzino" del Pil, quello zero virgola 7 per cento di crescita nel secondo trimestre che ha riportato a pelo d’acqua l’economia: secondo Berlusconi «ha smentito le Cassandre della sinistra» e prontamente i telegiornali hanno salutato l’evento statistico con un tipico entusiasmo di regime, parlando dell’Italia come della «locomotiva d’Europa, almeno nel breve periodo». Sugli ultimi dati macroeconomici il Professore non si scompone: «L’avevo detto qualche tempo fa che il fondo era stato toccato. Se c’è un rialzo, è un bene per il Paese, perché non si può stare in apnea troppo a lungo. Adesso si tratta di vedere se siamo capaci di acciuffare la ripresa tedesca: dobbiamo fare tutto il possibile in questa direzione». E il risanamento dei conti pubblici? «Ho sempre sostenuto che i conti dello Stato sono il riflesso di andamenti reali, del funzionamento complessivo di un’economia. Se il debito cresce, se l’avanzo primario cade, non è solo questione di numeri. Per questo ripeto e sottolineo il mio no alla politica dei due tempi. Bonifica dei conti pubblici e rilancio economico devono andare insieme. Questo è il nostro programma. Se qualcuno vorrà dipingerci come quelli che vogliono strangolare il Paese sbaglia indirizzo. Il grande freddo, lo zero virgola zero in crescita lo ha provocato la politica economica del centrodestra». Non sarà facile riprendere alla svelta il sentiero positivo. Anche il ministro dell’economia, Domenico Siniscalco, va dicendo che l’unico rimedio è la crescita. Lo sosteneva Giulio Tremonti. Lo annunciava Berlusconi. Secondo il governatore Fazio il miracolo era «dietro l’angolo». Di fronte alle magie annunciate da destra l’ex presidente della Confindustria Antonio D’Amato aveva esclamato tutto fiducioso «e adesso, turbo». Prodi non vuole fare promesse sensazionali, dato che «i conti vanno fatti prima di tutto con la realtà». Ma nelle sue priorità, quelle su cui si misurerà in settembre con gli altri candidati alle primarie, ce n’è una su cui lo staff sta lavorando da tempo: «L’obiettivo principale è quello che abbiamo segnalato, la riduzione del cuneo fiscale sul reddito da lavoro dipendente. Ciò implica un vantaggio doppio e simmetrico: per le imprese, in termini di costo del lavoro, e quindi di competitività, e per i lavoratori, come recupero di potere d’acquisto. Le modalità di questo taglio le esporremo compiutamente nel programma, ma l’obiettivo è di determinare una riduzione del carico fiscale fra il 5 e il 10 per cento delle retribuzioni lorde». Basterà? «Questo è solo un aspetto, anche se uno dei più immediatamente visibili», aggiunge Santagata: «Sullo sfondo c’è tutto il discorso sulle liberalizzazioni, che il governo di centrodestra ha riposto nello scantinato di Palazzo Chigi, e che investe un ampio versante di posizioni, dalle professioni all’energia. Il tema delle liberalizzazioni può apparire astratto, ma bisogna chiedere agli imprenditori, di qualsiasi settore, se sono contenti di pagare la bolletta elettrica più cara d’Europa, grazie a un settore così gravato da vincoli». «Stiamo lavorando sul programma», aggiunge Prodi, «in modo empirico, pezzo per pezzo, cercando di individuare gli aspetti che investono gli interessi dei cittadini». Qual è allora il punto chiave per rispondere alle esigenze diffuse? «In primo luogo il recupero del potere d’acquisto. Noi abbiamo assistito a una speculazione brutale sull’euro, e adesso bisogna bloccare la tendenza, possibilmente invertirla in certi comparti di spesa. È difficile, lo so, è come rimettere il dentifricio nel tubetto. Ma non possiamo limitarci ad assistere a questo fenomeno patologico. Ci sono settori, come il turismo, in cui si sono raggiunti limiti impressionanti, non europei: dopo tre anni di euro si continua a discutere sul passato, ma senza fare niente sul presente». Questo andamento dell’inflazione ha determinato una sorta di processo all’euro come causa di tutti i mali: il costo della vita, la perdita di competitività, l’impossibilità delle svalutazioni competitive. «Fosse per me», dice Parisi, «visto che la Casa delle libertà farà campagna contro "l’euro di Prodi", sarebbe il caso che Romano si presentasse come il protagonista dell’euro, rovesciando provocatoriamente l’approccio. Dove saremmo senza la moneta unica, con il costo del denaro tre volte più alto, i mutui che sarebbero già diventati insostenibili per le famiglie, e con le conseguenze del discredito provocato dai casi Parmalat e Cirio, con gli attacchi della stampa straniera, con il petrolio a questi livelli? Bisogna presentarsi come gli uomini della stabilità e del governo contro le proposte caotiche dell’avventurismo». Tuttavia, aggiunge Santagata, non si può dimenticare che è improprio parlare genericamente di "ceti medi impoveriti": «L’impoverimento, quando c’è stato, è avvenuto a senso unico, ai danni del lavoro dipendente. Qualcuno si è impoverito e qualcun altro invece si è arricchito. È come se all’elettorato di Forza Italia fosse stato consentito il grande furto con destrezza contro l’elettorato di centro-sinistra, gli impiegati, i lavoratori, i pensionati». Vero, commenta Prodi: «Senza demonizzare nessuno, occorre ricordare che l’inflazione è sempre un tiro alla fune sociale: c’è chi ci perde, e i poveri ci perdono più vistosamente, e chi invece ci guadagna. E pensare che sarebbe stato sufficiente applicare il piano di controllo che il ministro del tesoro Ciampi aveva predisposto, seguendo le raccomandazioni dell’Unione europea, per mitigare in ogni caso gli effetti del cambio di unità monetaria. Niente, non è stato fatto niente, non si è controllato nulla, non è stato fatto ciò che hanno fatto gli altri paesi, ispezioni, verifica sui mercati. Non lo dico perché sia malato di dirigismo, lo so benissimo che non siamo negli anni Settanta, il mercato va per i fatti suoi e non si possono reintrodurre pratiche come il paniere dei prezzi amministrati: si trattava di praticare forme di persuasione, esercitando una pressione intelligente sui comportamenti. Com’è che in Austria queste misure di semplice buon senso hanno funzionato e qui le abbiamo lasciate inutilizzate?». Ma il conflitto politico non sarà soltanto sull’economia. Anche se in questo momento il dibattito è silente, la riforma costituzionale della Cdl determinerà una guerra politica. Prodi su questo è categorico: «Come ha detto spesso nei nostri incontri un giurista del valore di Franco Pizzetti, noi non possiamo rinunciare al nostro impulso riformatore: questo vuol dire che siamo intransigenti nella difesa dei principi fondamentali della Costituzione del ’48, ma anche contrari a un principio di immutabilità sacra degli strumenti applicativi della Carta. Detto questo, non perderemo nessuna opportunità per manifestare la nostra opposizione sia alla devolution sia al disequilibrio fra i poteri fondamentali. Ma soprattutto manifesteremo la nostra contrarietà a un sistema complessivo, con un bicameralismo contraddittorio, che sembra una bicicletta con una ruota rotonda e una ruota quadrata». Nel frattempo stiamo osservando una formidabile lotta di potere, che si gioca sul terreno della finanza, con intrecci talvolta imbarazzanti. Per dissolvere gli equivoci, Parisi invita a rileggere la sua ormai celebre intervista sulla questione morale: «Ho messo in rilievo che di fronte alle intese trasversali fra soggetti economici e politici, ci può essere una ripercussione pesante nell’opinione pubblica: cioè un contraccolpo che può manifestarsi come revival giustizialista, oppure come un’ondata di cinismo di massa, all’insegna della conclusione secondo cui tutti sono uguali». Santagata ridimensiona: di fronte alle richieste di adottare un codice etico, come richiedono Paolo Sylos Labini e altri esponenti della società civile, richiama il criterio per cui l’etica è una precondizione, uno sfondo: «Di solito si mettono nelle cartelle per la stampa i codici etici quando l’azienda è sull’orlo del fallimento oppure quando l’etica è svaporata…». Tuttavia non sfuggirà al Professore che è in corso una partita importante: Antonveneta, Bnl, "Corriere della Sera", e chissà che cos’altro. «È una partita grossa, che rivela la rottura di regole, convenzioni, abitudini consolidate…». Ma che cosa c’è in ballo, un establishment che cerca di scalzarne un altro? «Intanto c’è gente che ci mette un sacco di soldi, e io sono sempre stato colpito da quel che mi diceva Helmut Kohl». E che cosa diceva il Cancelliere? «Che non si può essere ricchi e fare politica». E allora, di fronte a queste ricchezze che passano di mano, alle mosconate in Borsa, al contesto in cui politica e affari si incrociano, che cosa occorre fare? «Intanto abbiamo messo a punto un programma di razionalizzazione delle authority, molto importante come segmento del futuro programma: si tratta di un segno forte di riorganizzazione dello Stato e delle garanzie di equilibrio fra soggetti e poteri: nel bipolarismo le autorità neutrali diventano essenziali. Se abbiamo in mente uno Stato moderno, efficace, non possiamo rinunciare a metterci le mani, a farlo funzionare meglio. Anche questo, se permettete, è riformismo».

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