Approvata la legge Gasparri, si era capito subito che le nuove procedure per la nomina del consiglio d’amministrazione della Rai avrebbero determinato dilemmi politicamente insolubili. Con l’obiettivo apparente di garantire la maggioranza politica e di assicurare la rappresentanza dell’opposizione, nonché con la necessità di un accordo trasversale fra i poli per l’elezione del presidente, si erano costituite tutte le condizioni per la paralisi. Che è avvenuta puntualmente, in un modo che supera di gran lunga il grottesco. Ma non basta, perché le premesse dichiarate si sono capovolte in conseguenze catastrofiche: vale a dire che l’intento di dare alla Rai un assetto ispirato all’equilibratura politica è diventato nei risultati una super-politicizzazione dell’emittente pubblica. Un capolavoro a rovescio, insomma. Ai tempi della prima Repubblica, se non altro la lottizzazione implicava il pluralismo. Le spartizioni imposte dalla proporzionale e dai rapporti di forza tra i partiti moltiplicavano posti, direzioni, ruoli, ma producevano di fatto una varietà di posizioni che rendevano la Rai un’immagine speculare esatta del sistema politico. Come disse Bettino Craxi, il centralino della Rai ha il numero 643111 (sei posti ai dc, quattro ai comunisti, tre ai socialisti e uno a testa ai laici minori). Che il sistema fosse distorto è del tutto fuori discussione. Ma il nuovo metodo somma ai guasti della lottizzazione la gabbia ferrea del modello bipolare. Adesso la spartizione avviene due volte, a destra e a sinistra. E alla fine di questo infernale Sudoku si aggiunge il patteggiamento estremo, ossia l’elezione di un presidente che funga da quadratura del cerchio. Il risultato è sotto gli occhi del mondo. C’è una Rai blindata politicamente. Detto senza moralismi antipolitici, il servizio pubblico, fintanto che si accetta questa dizione, dovrebbe avere un consiglio di amministrazione in grado, per prestigio e autorevolezza, di orientare scelte e programmi in modo equilibrato e culturalmente plausibile. Ma sono soltanto parole. Nella realtà dei fatti la Rai è considerata con ogni evidenza lo strumento fondamentale per gestire la campagna elettorale di qui al 2006. Ciò significa che quella che è stata la massima agenzia culturale del paese è diventata zona di occupazione. L’elezione del presidente, una tragicommedia, che ha avvilito figure come quella di Claudio Petruccioli, ha strumentalizzato candidature come quella di Andrea Monorchio e Giulio Malgara, innescando a giorni alterni le dicerie sul consigliere anziano più anziano degli altri, ossia il possibile facente funzione del presidente, al posto del sinistro Sandro Curzi. L’ex presidente della commissione di Vigilanza e oggi ministro delle Comunicazioni, Mario Landolfi, ha ipotizzato modifiche alla legge per evitare impasse di questo tipo. Ma toccare un solo tassello del problema Rai significa interferire con un processo che coinvolge la privatizzazione, l’assetto del duopolio, il mercato pubblicitario, la dosatura dell’informazione, gli interessi politici e clientelari più vari. Si rischia di mettere in discussione tutto. Il centro-sinistra non è esente da responsabilità, nel senso che è sceso malamente sul terreno del negoziato politico; adesso tanto vale aspettare, e pensare a una soluzione decorosa da infilare in un programma di governo.
28/07/2005