La domenica su Raitre, alle 11.30 (ma poi anche tutti i giorni su Rai Utile e Ray Family), va in onda "Un giorno per caso…", un classico programma di tv positiva. Per tutti noi assuefatti ai reality show, al cinismo quotidiano della televisione pessima, ai freak della normale programmazione per teledementi, è un antidoto, come ha detto il direttore di rete Paolo Ruffini. Un medicinale. Quindi usare con cautela. Se compaiono sintomi, rivolgersi alla dott.ssa De Filippi. Sono infatti storie esemplari, realizzate da Simonetta Tugnoli Frabboni e Claudia Amico: famiglie con decine di ragazzi in affido, come nel caso di Germana e Paolo Brizzolari, che in una casa di Cavriana, vicino a Mantova, hanno messo insieme una famiglia di 36 "figli". E poi vicende di ragazze madri, bambini disabili, preti di strada, carceri minorili. Uno spirito perfidino direbbe che è un programma utile per rovinare agli italiani il pranzo domenicale. Viene da piangere, a vedere queste storie, nel senso che ci si commuove, perché il destino dei cinici è quello di essere vaccinati davanti a ogni cinismo (per cui si riesce serenamente a sopportare una puntata di "Music Farm" o di "Cronache marziane"), ma poi si risulta scoperti non appena appare un bimbo con una gamba amputata o una signora bolognese che dal 1959 accoglie ragazze in difficoltà. Ottima l’idea di fare raccontare ogni puntata a un conduttore "per caso", facendo collidere la vita di un/a ragazzo/a della nostra ordinaria società consumista con la sobrietà durissima della vita di comunità. Nella puntata sui 36 figli della famiglia Brizzolari, la conduttrice per caso era Celeste Breschi, bolognese giovanissima e pienotta, che parlava con il classico accento televisivo delle under 20 di oggi (e quindi anche la conduttrice deteneva un contenuto sociologico rilevabile, nel senso che "allora è vero che i ragazzi parlano proprio così"). Meno buono alla lunga il dibattito finale, molto cattoqualcosa, dove ragazze con il piercing e post-adolescenti con la convenzionale faccia da studenti che non studiano si misuravano con l’incommensurabile della solidarietà. Tutti scossi, ma sotto sotto rassicurati dal fatto che al dibattito equo e solidale si dedica una mezz’ora, e poi si ritorna alla nostra cinica vita comune (perché, al contrario di Karl Marx delle Tesi su Feuerbach, noi vogliamo interpretare il mondo, non cambiarlo, siamo mica matti).
21/07/2005