Come per "Alex" Del Piero con gli uccellini e la fidanzata Sonia, e come in passato per gli "abatini" Mazzola e Rivera, a Francesco Totti è capitata la disgrazia di diventare un personaggio. Vabbè, disgrazia. Facciamo un problema calcistico. È stato subito il Pupone, essenza anche fisiognomica della romanità, quando ancora giovanissimo sembrava in grado di proporsi come un fuoriclasse assoluto: e lo era, per come verticalizzava a intuito, quasi a occhi chiusi, medianicamente, liberando il compagno al gol; per la forza fisica, il tiro, il dribbling, la classe. Tutte caratteristiche inessenziali nel calcio contemporaneo, che vive soprattutto di espressioni di idolatria mediatica, come quelle che circondano il calciatore "cool" per eccellenza, il galactico David Beckham, che cambia look con facilità maggiore di quella con cui cambia ritmo in partita. Sicché dire che cosa sia oggi Totti è una serie di ipotesi. Il prossimo marito di Ilary Blasi, forse. Ma anche l’atleta innervosito fino al collasso nervoso dalle scorrettezze avversarie e martoriato perciò da squalifiche monstre, e l’atleta immaturo che sputa al danese Poulsen durante i campionati europei in Portogallo, guadagnandosi fior di sms che ironizzano sull’"hijo de sputa". Oppure il bravo ragazzo dotato di consapevolezza sociale che riceve i complimenti e l’amicizia di Walter Veltroni per le non pubblicizzate attività umanitarie svolte insieme. E magari anche il divetto provinciale che accetta di scendere dal piedistallo, o di uscire dal set, firmando quello stravenduto libro di barzellette che lo ha miracolato restituendolo alla stirpe degli individui pensanti, dopo la micidiale epopea popolare del gerundio (quando tutta l’Italia evoluta sghignazzava "’a vendo": la Ferrari gialla, per chi ricorda la barzelletta). Con il risultato che di Totti si parla come immagine di Roma e della Roma, quasi un congiunto della famiglia Sensi, il tutor di Cassano e delle cassanate, l’adultero presunto, ma quasi mai, e non nel campionato appena finito, come trequartista, punta o comunque giocatore di calcio. Per uno che poteva essere Cruijff, o come minimo il più bravo calciatore italiano del decennio, è un destino che suona falso, nell’attesa infinita, sulla soglia dei trent’anni, che il campione si riveli finalmente come campione, senza altre specificazioni. E siccome è sveglio, un po’ impicciato nel lessico e nel savoir faire ma intelligente, lui lo ha capito benissimo. Tanto che nel disgraziato torneo 2004-2005 in diverse partite si è visto in campo uno strano giocatore che tentava con sforzi erculei di prendersi sulle spalle la Roma, in difesa, a centrocampo, all’attacco, giocando come giocano i fenomeni negli oratori, con addosso una specie di disperazione: «Totti corre, forca, impicca», avrebbe scritto Gianni Brera. Proprio da quella furia solipsistica si doveva intuire che il giocatore Totti sente su di sé lo scorrere irreparabile del tempo: e a volergli bene, sarebbe ora il caso di trattarlo non come un "fijo de Roma" ma come un fuoriclasse a cui concedere l’occasione vera di rivelarsi. Con un finale di carriera magari accanto a Beckham, oppure nel Milan, alla Juventus, o in qualsiasi grande squadra che lo tratti come un giocatore e non come una bandiera o, peggio, un simbolo.
16/06/2005