C’è qualcosa di disperante nella parabola del governo, e non solo per la vicenda personale e politica del suo leader. Per ciò che riguarda il cavalier Silvio Berlusconi non ci sono troppe parole da spendere, tanto è stata rapida e chiara la sua caduta. Potrà forse sorprendere la gioia intima con cui molti fra gli alleati si sono dedicati al tiro al piccione, ma ciò ha messo in chiaro che il ruolo del "conducator", apparentemente indiscusso, era in realtà una finzione accettata formalmente dai soci della Casa delle libertà, che tuttavia si sentivano pronti a stracciarla non appena se ne fosse presentata l’occasione. L’aspetto più preoccupante della crisi deflagrata con le elezioni regionali è tuttavia legata all’economia. Una legislatura cominciata sotto i sorrisi che annunciavano il miracolo si chiude sotto previsioni fosche, con i conti pubblici presumibilmente fuori controllo, e con l’economia reale in recessione. Il sogno ha generato l’incubo. Vale ancora la pena di ripetere che il mandato di Berlusconi era fallito agli inizi del luglio 2004, allorché Fini e Follini ottennero la testa del superministro dell’Economia Giulio Tremonti. Stop, la legislatura finisce lì, con un fallimento accertato e sanzionato politicamente. Il resto sono scampoli. C’è solo da sperare che la violenza della crisi politica ed economica non induca i protagonisti del centrodestra a tentare vie d’uscita avventuristiche. Succede spesso nella storia che uomini che hanno avuto troppo potere, di fronte al proprio fallimento, se la prendano con i propri concittadini. Oppure che cerchino soluzioni disperate, affidandosi agli ultimi lampi di fantasia. Difatti se ne sono sentite tante, negli ultimi tempi. A cominciare dal presidente del Consiglio, che continua a prendersela con l’euro come causa di tutti i mali; per poi individuare una via di rilancio in un gran colpo finale di governo in deficit, lacerando le ultime convenzioni europee. Mentre il ministro per le riforme, Roberto Calderoli, «parlando da leghista e non da ministro», lancia l’idea di uscire dalla moneta unica e del ritorno alla lira. Ai rischi gravi e reali, alle tensioni che hanno investito l’economia del nostro paese, agli shock settoriali che la nostra industria comincia a riscontrare, alla perdita di competitività e alla concorrenza asiatica, si aggiungono quindi i pericoli di un governo che studia strategie economiche da ridotto in Valtellina. Apparentemente disposto, nelle sue frange estreme ed estremiste, anche a tentare colpi suicidi, e a vagheggiare strappi europei che ci ridurrebbero a una condizione sudamericana. Certo, esistono ancora alcune barriere all’estremismo scamiciato di questa destra pronta a giocarsi il paese con le tre tavolette. C’è il Quirinale, con un uomo come Carlo Azeglio Ciampi, "padre" della presenza europea dell’Italia, che non accetterebbe mai sbreghi colossali e bizzarri dettati dalla fantasia politica dei desperados. E sicuramente il ministro Domenico Siniscalco non accetterà di giocarsi il suo prestigio nella comunità degli economisti, e la sua credibilità in Europa, mettendo la firma sulle intimazioni eventuali di Berlusconi. Dopo di che, occorrerà trovare il modo di mettere la parola fine a questa esperienza catastrofica, al governo della Cdl: non perché qualcuno possieda la bacchetta magica per risolvere i problemi d’incanto, ma per cominciare a mettere realisticamente in sesto l’agenda, a guardare in faccia i problemi, a fronteggiare la durezza della realtà. Non si approssimano tempi facili per nessuno. Chiunque riprenderà in mano il governo del paese avrà il compito di dire verità sgradevoli. Ma intanto non è nemmeno il tempo delle polemiche: la verità ormai la si conosce, e il verdetto è già stato emesso. Bisogna esporre all’opinione pubblica un programma semplice, espresso con parole sincere e con sangue freddo. Perché oggi il compito principale consiste nel tornare alla verità, nel tornare alla realtà. Non è un’esperienza politica entusiasmante, ma è l’unica strada da percorrere, e conviene farsela piacere.
26/05/2005