La resa dei conti è cominciata, e difficilmente uno dei due potrà sopravvivere politicamente. I duellanti sono Prodi e Berlusconi, impegnati in un lunghissimo faccia a faccia. A urne aperte, la sera del 4 aprile, sarà terminato il primo round: e chi rischia di più, nonostante tutti gli esorcismi, è il Cavaliere. Il secondo appuntamento sarà il referendum sulla fecondazione assistita, dominato dalla figura del cardinale Camillo Ruini, il sostenitore dell’impegno- disimpegno: una prova che invece potrebbe essere molto stressante per il centro-sinistra, e mettere in seria difficoltà l’equilibrio finora ricercato e garantito politicamente da Prodi. Inutile aggiungere che il terzo momento dell’ordalia sarà naturalmente quello delle elezioni politiche del 2006, che appaiono come il momento cruciale dell’era Berlusconi. Vincere, e sanzionare il regime, grazie al patto di ferro con Umberto Bossi, la sua riforma della Costituzione, inefficiente sul piano del sistema politico-istituzionale ma efficientissima come macchina di potere, con tanti ringraziamenti al ruolo garantitogli dall’ultima Rai (cda monocolore e presa sicurissima del direttore generale Flavio Cattaneo, nonché "effetto fiction", ossia la rassicurazione quotidiana sulla qualità del governo offerta dal Tg1 e dal Tg2). Oppure perdere, nonostante le posizioni di clamoroso vantaggio, e imboccare la via dell’uscita dalla politica, con tutti i rischi connessi a questa ipotesi, a cominciare dalla possibile disintegrazione della Casa delle libertà. Dunque, le regionali. A quanto si capisce, le tendenze si possono sintetizzare così: c’è un trend di lungo periodo che deprime le aspettative del centro-destra; l’effetto del secondo modulo della riforma fiscale, con il taglio delle aliquote per i ceti medio-alti, ha portato soltanto a un’increspatura delle preferenze. Il consenso alla destra incorporava già da tempo l’aspettativa della riforma, e quindi l’esito sul profilo degli andamenti elettorale non sembra risultare particolarmente significativo. C’è anche da considerare che le elezioni nelle 14 regioni in cui si vota sembrano rivelarsi una specie di prova generale delle elezioni politiche, e in questo senso la dimensione ideologica prevale sui singoli aspetti della campagna elettorale. Silvio Berlusconi lo ha intuito, e quindi alla fine si è buttato nella campagna, nel tentativo di sostenere Francesco Storace, un candidato simbolo del Polo: il Lazio infatti è una delle tre regioni, con Piemonte e Puglia, che potrebbero risultare decisive nel calcolo della vittoria, e una sconfitta di Storace apparirebbe catastrofica, e in quanto tale destinata ad aprire un regolamento di conti nella Casa delle libertà. Storace è in tensione. Il recupero di Alessandra Mussolini infatti rimette in lizza una formazione adatta a rastrellare quel voto di protesta che risente marcatamente della riconoscibilità dei candidati. È vero che in passato Storace è apparso in grado di presidiare con efficacia il consenso di frontiera, incanalando il voto delle borgate, ma è altrettanto vero che la Mussolini sembra la candidata perfetta per sottrarre preferenze di confine. Nello stesso tempo, la campagna del candidato del centro-sinistra, Piero Marrazzo, è apparsa più efficace del previsto, in grado di convincere alla lunga l’elettorato di riferimento ma anche di insinuarsi polemicamente in alcuni punti deboli dell’attività di governo di Storace. Il quale ha lanciato l’allarme: «Se perdiamo il Lazio, il prossimo premier è Prodi». La partita appare molto aperta, ma lo stesso coinvolgimento del premier, con il faccia a faccia indiretto con Prodi, segnala che il risultato nel Lazio è un elemento altamente critico, condizionato dagli eventi dell’ultima ora (è ancora da valutare se l’infortunio dell’"Unità" a proposito del padre di Storace, fortissimamente drammatizzato dal centro-destra, possa avere avuto l’effetto di un involontario soccorso rosso al governatore). L’altra regione che fa da test politico rilevante è il Piemonte. Perché mette in gioco una figura, quella del "forzista di buonsenso" Enzo Ghigo, gradita agli establishment e accettata da una larga generalità di elettorato. Eppure l’aspetto confortevolmente moderato di Ghigo è stato via via sgretolato dal forcing della candidata dell’Unione, Mercedes Bresso. Che ha risalito lentamente le posizioni, guadagnandosi la fama di combattente irriducibile, e che ha compiuto uno sforzo straordinario di convincimento negli ambienti del potere subalpino: fra circoli di professionisti e associazioni di settore, nessuna lobby, nessun gruppo d’interesse e nessun aggregato di potere locale è stato trascurato dalla poderosa Mercedes. Le conseguenze possibili inquietano Berlusconi e la Cdl. Perché perdere un paio di regioni minori è politicamente tollerabile. Ma perdere una grande regione del Nord, no. Al punto che per sostenere Ghigo è sceso in campo addirittura il ministro dell’economia, Domenico Siniscalco, che il martedì dopo Pasquetta si è presentato al Centro Congressi dell’Unione Industriale, classico luogo di ritrovo della borghesia torinese, per offrire il suo appoggio al governatore uscente, sotto la regia del coordinatore locale di Forza Italia, Guido Crosetto: «Ghigo ha governato bene, il Piemonte è un modello». Ora, che un uomo duttile come Siniscalco, sempre attentissimo a sottolineare la sua funzione di tecnico non-partisan, abbia accettato di manifestare il suo "endorsement" per Ghigo, la dice lunga sull’entità della posta in gioco. L’altro aspetto da valutare, ai fini del giudizio degli elettori, concerne la puntata elevatissima, giocata dal governo e dalla maggioranza, sulla riforma costituzionale, con il via libera in prima lettura alla devolution e al premierato. Ma non è detto che ciò possa dare risultati diretti. Le regioni più sensibili al tema devolutivo, vale a dire Lombardia e Veneto, non sembrano a priori contendibili dal centro-sinistra. Il successo ottenuto da Umberto Bossi (e da Giulio Tremonti come coautore dell’Asse del Nord) non sposta significativamente il rapporto di forza, particolarmente sfavorevole al centro-sinistra, nonostante il recente appannamento di Roberto Formigoni e di Giancarlo Galan. Su un piano più generale, c’è da valutare, semmai, il possibile effetto negativo della riforma costituzionale, enfatizzato ad esempio dal durissimo intervento di un commentatore come Ernesto Galli della Loggia, che sul "Corriere della sera", ha parlato di «patria perduta». Il diffondersi di una valutazione estremamente critica sul progetto costituzionale della Cdl (una sorta di inatteso effetto "il re è nudo") è una novità spiacevole per il centro-destra. Quanto alla terza regione in bilico, la Puglia, è un esperimento che metterà a dura prova gli analisti e i leader politici. Soprattutto Prodi qui potrebbe pescare una carta difficile. Fino a questo momento, mentre la tendenza sembra essere incertissima, la performance di Nichi Vendola, «estremista» per autodefinizione, sembra premiare chi sostiene che il centro-sinistra non deve puntare al recupero del voto moderato, bensì alla qualificazione di un profilo forte e riconoscibile. Finora insomma trova soddisfazioni lo schema di Fausto Bertinotti, che ha spostato Rifondazione comunista nell’ambito governativo, ma che sostiene che l’alternativa alla Cdl va portata esplicitamente da sinistra. È un tema, questo, che un’eventuale vittoria di Vendola, con la sua capacità di mobilitare il voto popolare, di immergersi nelle piazze e nelle periferie, porterebbe a una temperatura rovente. Perché finora Prodi ha condotto tutto il suo sforzo per integrare Bertinotti nel perimetro dell’Unione. Ma il leader del centro-sinistra sa benissimo che in diversi ambienti (nell’elettorato delle categorie economiche, in particolare, fra artigiani, commercianti, gruppi professionali) in questo momento l’Unione viene considerata politicamente squilibrata. La Puglia quindi diventa un esame complicato: per i suoi riflessi sulle primarie e sul baricentro dell’alleanza. Anche Prodi si gioca molto. Perché a sinistra c’è l’aspettativa di un successo. E un successo solo parziale verrebbe considerato come una mezza sconfitta. Ma non solo, forse neppure vincere le regionali basterà: occorrerà anche gestire l’eventuale successo, e capire se in proiezione 2006 sarà decisivo accentuare la linea moderata, oppure spingere su una Unione radicalmente alternativa. Un tema su cui Prodi ha messo in gioco la propria immagine politica.
07/04/2005