Nel peggiore dei casi sarà una tonnara. Nel migliore, un duello infinito. "Neverending Duel", una sceneggiatura serratissima alla Ridley Scott. Dodici, tredici, quattordici mesi di botte, parate, risposte, finte, contrattacchi. I leader in prima fila, agitando lo spadone fra urla belluine; i comprimari al fianco e al seguito, tutti pronti a scannarsi. Tourbillon Italia, la grande mischia: in attesa delle elezioni regionali, e del dibattito sui vincitori effettivi. Poi, il via a un anno di puro terrore, con i protagonisti che sono già schierati, con le armi sguainate. Prepararsi allo spettacolo: il libretto è questo qui sotto. Con personaggi, interpreti e comparse. Sempre i soliti. Sempre nuovi. L’aspirante statista S’ode a destra uno squillo, e naturalmente appare Silvio Berlusconi. Sondaggi bruttini, ma proprio bruttini, per Forza Italia: tuttavia il Cavaliere è riuscito nell’acrobazia di fare diventare un quasi successo bipartisan il colossale pasticcio della liberazione di Giuliana Sgrena, che lui ha sempre chiamato «la signora», perché si sa che i giornalisti sono per l’85 per cento comunisti, e quella è comunista sul serio, quindi conveniva ridurre, ridimensionare, minimizzare. Ecco dunque «la signora». L’economia comunque continua ad ansimare, il decreto sulla produttività è un frittino misto senza risorse economiche e con riforme di portata straordinaria buttate lì sulla carta, nella certezza di rivoluzionare l’Italia con un tratto di penna. Ma se era così facile, perché non sono state fatte prima? «Abbiamo mantenuto tutte le promesse», giura il premier. I dati lo smentiscono, e il sociologo Luca Ricolfi ("Dossier Italia. A che punto è il contratto con gli italiani") è piuttosto scettico, ma lui è fiducioso e intanto ha trovato e ha imposto al paese un nuovo fuoriclasse, ovviamente Gianni Letta. Ma si sa come finiscono i fuoriclasse nella Casa delle libertà: basta chiederlo a Giulio Tremonti, che scrive una lettera fluviale al "Sole 24 ore" per rivendicare di avere fatto un lavoro colossale. Forse avrà lavorato troppo. Anche il presidente del Consiglio ha lavorato molto. Rating: basso ma crescerà (o ricrescerà, come i capelli, che in effetti sono ricresciuti benissimo). Voto: 5. Il Professore "avanti miei Prodi" All’attacco, all’attacco. Contro la dittatura della maggioranza nel nome di Hamilton, Madison e Tocqueville, contro la riforma costituzionale di destra, contro la politica economica del governo. E nello stesso tempo lima le previsioni delle regionali, se ne sta quatto (evidentemente, più che ai sondaggi, crede al buon senso prudenziale di Giulio Santagata, il suo braccio destro inventore della "Fabbrica del programma"): non alziamo troppo le aspettative elettorali, altrimenti un risultato solo discreto verrà preso per una sconfitta. Non piace ai moderati, il Professore di lotta e di governo, non piace la sua alleanza con Fausto Bertinotti, non piacciono i suoi giudizi catastrofici sul governo, sulla perdita di competitività italiana, sulla crescita mancata; non piace che ritrovi all’improvviso il gusto della battuta (a proposito di grandi opere: «Lunardi inaugura anche i chiodi a cui attacca il cappotto»). E però, quando era più istituzionale e pacioso, lo davano per "bollito", mentre se attacca "non è più lui". Ma a giudicare dall’ira funesta e dalla mobilitazione che suscitano a destra le sue dichiarazioni, viene il sospetto naturale che Prodi sia temuto ancora e sempre, e soprattutto dia fastidio che l’Unione abbia adesso un leader che non agisce soltanto di rimessa ma attacca. Giudizio: ah, che bestia cattiva, vuole mordere l’avversario. Voto: 6 più. Diplomaticus Finissimus Finiti grazie al cielo i tempi in cui sembrava un abusivo, come all’epoca dello Tsunami, quando i reduci dalla tragedia, sbarcati a Fiumicino, non lo degnavano di uno sguardo, e lui stava lì con le mani in mano. Adesso Gianfranco Fini è entrato effettivamente nella parte del ministro degli Esteri: anche se non ha avuto un grande ruolo nel caso Sgrena, e anzi probabilmente ha contribuito ad alimentare il mistero, si è calato negli abiti del gran diplomatico: vesto quindi sono. Ha firmato sulla "Stampa", a quattro mani con il perfido albionico e ministro degli Esteri inglese Jack Straw, un articolo in occasione del viaggio nel Regno Unito del presidente Ciampi, in cui si diceva che Italia e Gran Bretagna cantano all’unisono. In sostanza: "Ambassador" ce la fa. Chi ha sostenuto in passato che tutti hanno avuto in classe un ripetente che parlava come Fini (che diceva «la triplice» per parlare dei sindacati, ad esempio), è servito. Piuttosto, cominciano davvero a essere di peso, o almeno stilisticamente inappropriati, i suoi camerati: a Gasparri servirebbe finalmente almeno un corso di dizione, al maschio Francesco Storace un trattamento di buone maniere (altro che polemiche piazzaiole dopo i sondaggi infausti del "Sole 24 ore", «con quel giornale ci ho incartato le uova», e cadute di gusto machiste su Rosy Bindi). Intanto però Diplomaticus dovrebbe benedire donna Alessandra Mussolini, che gli ha portato via il cognome più imbarazzante aprendo nuove opportunità al partito (perché come scrisse Pietrangelo Buttafuoco ai tempi di Fiuggi: «Benito Mussolini è l’unico socialista che non possiamo riciclare in An»). Valutazione: bene Lui, un velo sugli altri. Voto: 6 meno meno. Baffino l’Europeo e i dolori diessini I diagnosti più sofisticati, a cominciare dai riformisti del "Riformista", si stanno chiedendo che fine ha fatto il network di Massimo D’Alema: cioè quella rete generazionale e politica che per un certo periodo sembrava aver messo le mani sull’Italia, che aveva preso il potere per non lasciarlo mai più. Dove sono i "Lothar" dalemiani, dove sono finiti i banchieri dell’unica merchant bank in cui non si parlava inglese? Lui, il leader, dà l’impressione di essere in una condizione incerta. Un po’ qui, un po’ là. Un po’ a Roma, un po’ a Strasburgo. «Il nostro uomo migliore» sembra un fuoriclasse che sta giocando solo delle amichevoli: ogni tanto esibisce una giocata delle sue, ma il risultato è accademico, e i critici arricciano il naso: capaci tutti quando non sono in gioco i tre punti. È la condizione essenziale dei Ds: anche il segretario Piero Fassino, dopo il buon risultato del congresso, deve rimettersi in campo. Nel frattempo però la "linea" la detta Prodi, la sindrome del portatore d’acqua è in agguato. E le regionali non promettono granché: se si vince nelle regioni rosse, che ci voleva? Almeno bisognerebbe che Burlando conquistasse la Liguria, e che in Piemonte la Bresso scippasse il posto a Ghigo. Ma ci sono anche gli strascichi delle baruffe veneziane, il match Cacciari-Casson, ogni giorno ha la sua pena. Voto: D’Alema 6 e mezzo, Fassino rivedibile. Highlander e la capitale morale Gran ritorno di Umberto Bossi, il quale ha fatto capire che la Lega vuole sempre l’indipendenza o giù di lì, ma soprattutto che il Carroccio è una questione di famiglia: ecco la moglie senza la quale la Lega non esisterebbe più, ed ecco il figlioletto riccioletto che si sporge dalla finestra della casa di Carlo Cattaneo esclamando «Padania libera» con il pugno teso. Intanto L’Umberto è orgoglioso in quanto ha bloccato l’operazione «neodemocristiana» di Roberto Formigoni, e Berlusconi gliene è grato perché ha tagliato le unghie a un possibile successore. Tuttavia a Milano, cuore del Nord, le cose vanno male, male, male. La vicenda della Scala è diventata una specie di "Prova d’orchestra" felliniana ambientata nel terzo millennio. Il soprintendente, il direttore generale, il direttore d’orchestra, il sindaco, l’assessore alla Cultura e il suo successore, le maestranze, i "Lavoratori" (come scrive il maestro Muti): se un giorno arriverà l’indipendenza, o almeno la devolution, ci vorrà un altro spartito. Pagella: per adesso è sempre la solita musica, e anche un po’ peggio del solito. Voto: non classificato. Follini e i suoi dispersi Ormai si vede poco. Marco Follini è rinchiuso dentro Palazzo Chigi, e riappare solo ogni tanto, con il compito di fare la faccia cattiva contro il cattivo Prodi. Ma tutta l’Udc è seminascosta. Desaparecido Rocco Buttiglione, dopo le diatribe culattoniche in Europa e la polemica sulla pedofilia di Cohn-Bendit. Poco appariscente il vestitissimo Baccini (che ha una sola caratteristica davvero riconoscibile, quella di essere il vero format facciale dei candidati dell’Udc: fateci caso, tutti i cartelloni con i volti di neodemocristiani eleggibili alle regionali recano la foto di gente uguale a Baccini). Semiscomparso anche Bruno Tabacci, che è una persona seria e sembrava un osso duro, ma che dopo l’esito della legge sul risparmio ormai sembra il colonnello Aureliano Buendía di Gabriel García Márquez, quello che «promosse trentadue sollevazioni armate e le perse tutte». Vabbè, finché c’è vita c’è speranza. Ma siccome anche Pier Ferdinando Casini di questi tempi non brilla per presenzialismo, l’immagine dell’Udc è opaca. Rating in ribasso, seppure senza crolli. Voto: 5. Rifondare il possibile Fausto Bertinotti sta rifondando non solo Rifondazione ma anche se stesso. La svolta "governista" lascia con il mal di pancia la minoranza del partito, i trotzkisti, i comunisti veri: ma Fausto non è mai stato un comunista autentico, anche se al congresso di Venezia ha esclamato che un giorno vorrà essere ricordato come tale. Bertinotti è un socialista anarchico che sta diventando un socialista umanista. E forse per questo, mentre tutti i moderati guardano con spavento (o piuttosto dicono di guardare con spavento) alla liaison politico- governativa con Prodi, immaginando l’incubo di imposte patrimoniali e l’orario a 35 ore, Bertinotti cita Pietro Nenni e la stanza dei bottoni, ricorda Raniero Panzieri, dedica un pensiero a Riccardo Lombardi, rivelando così la sua vera e inconfessata speranza: nell’impossibilità di rifare il Psi, dato che se l’è preso Gianni De Michelis, si potrebbe provare a rifare il Psiup. Voto: dal 6 al 7, come le percentuali di voto.
24/03/2005