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Il tallone di Prodi

24/02/2005

La forza di Romano Prodi è la debolezza delle macchinazioni altrui. Fino al congresso dei Ds, Mortadella era un "bollito". Dietro la sua figura data per cadente si affollavano pretendenti veri e finti, candidati alternativi a iosa, sostenuti dai corridoi romani, dal chiacchiericcio tiberino, dai salotti, dai retrobottega della Capitale. Bella, la politica virtuale. Eccitante, l’idea di poter cambiare il leader ogni due o tre settimane. "Divertente", come si dice in gergo, la possibilità del totocandidati, una festa per il partito degli intelligenti, dei dietrologi, di quelli che non la bevono, che ne sanno sempre una in più degli altri. Poi il presunto bollito Romano è andato al Congresso, ha fatto la sua prudente demagogia («Care compagne e cari compagni»), che è un ossimoro come la dissimulazione onesta dei gesuiti nel Seicento, e ha tirato giù una visione da leader, mettendo in mostra, come ha segnalato Giampaolo Pansa, «le risorse immateriali» di chi è stato alla guida della Commissione europea, e che ha dunque uno sguardo strategico. Dopo l’intervento al Palalottomatica, Massimo D’Alema ammetteva a labbro tirato e baffo arricciato che «Romano ha fatto il discorso della vita». Così, all’improvviso, con una virata spettacolare del sentimento, tutte le fumisterie degli ultimi mesi si sono dissolte. È sbocciata la primavera, è nata l’Unione, si è aperta la Fabbrica. Negli stessi corridoi dove prima si sogghignava si è smesso di ridere: anzi, in certi sancta sanctorum del potere annunciato come la Rai è cominciato il pellegrinaggio, il contatto per interposta persona, con le relative dichiarazioni di inalterabile amicizia e «dite a Romano che può sempre contare su di me». Quanto ai poteri forti, ormai è assodata la convinzione che l’esperienza di Berlusconi quel poco che poteva dare l’ha dato, e siamo agli sgoccioli. Per qualche tempo dentro i palazzi dell’economia si è cullata l’illusione di certe invenzioni neocentriste, ma adesso fra il mondo delle imprese e l’Unione c’è di mezzo forse soltanto l’antica diffidenza per il Prodi cattolico, quindi solidarista (arriveranno a rimpiangere con lacrime di coccodrillo il realismo di D’Alema), oltre all’esecrazione per l’alleato anomalo, il sempiterno Fausto Bertinotti. Tuttavia lo sanno anche loro che gli eventuali futuri ministri unionisti sono più professionali. Letta (Enrico), Bersani, Amato, D’Alema, De Castro, Giarda, insieme a qualche new entry, rappresentano una squadra super-garantita. Quindi la debolezza di Prodi è di altro tipo. Politica, perché sui temi a maggiore tasso di conflittualità (bioetica, Iraq) il centro-sinistra è "tot capita tot sententiae", con un effetto-casino spesso deprimente. E nella comunicazione, dato che nonostante gli spergiuri di Berlusconi, il controllo da destra sulla televisione è ferreo (anzi, talvolta sfiora il grottesco, come quando a Prodi, citato magari solo per iscritto, risponde Schifani, ripreso nella sua scultorea bellezza). L’altro rischio effettivo è che lo staff prodiano si illuda di poter replicare le modalità della campagna 1995-96. Allora l’ingenuità era un valore, significava immediatezza, freschezza, prossimità ai cittadini; oggi apparirebbe improvvisazione, estemporaneità, dilettantismo. Per battere Berlusconi, in una campagna che diventerà una drammatica guerra ideologica, non ci sarà spazio né per gli errori né per le approssimazioni.

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