Zapping, zapping, zapping. Ma con l’etere, il satellite, il digitale terrestre, e senza dimenticare le opportunità della banda larga, lo zapping potrebbe diventare una semplice ginnastica manuale, una diteggiatura fine a se stessa, come un massaggino shiatzu. Ottimo. Così la televisione si relativizza, si ridimensiona alla condizione naturale di elettrodomestico. Nessuno ormai chiede «che cosa c’è per televisione stasera?». Si accende la tv ed è "lei" che ci guarda, che fruga nei salotti e nei tinelli che ingoia la nostra privacy. Il rovesciamento è abbastanza straordinario. Tutto questo mentre il trentottesimo Rapporto Censis dice che il 42 per cento del pubblico, se si accorge che la serata televisiva butta male, semplicemente spegne l’apparecchio, e si dedica ad altro. Magari dorme, ma rifiuta di farsi scrutare dalla tv, di farsi indagare dall’occhio indagatore del Grande Fratello. Già, sono i partecipanti all’Isola dei Famosi, sono i protagonisti del Gf, sono i "reality heroes" che invadono le nostre case e ci mettono sotto osservazione. Noi crediamo di osservare una discussione cazzona, lo psicologismo demenziale delle conversazioni fra il tatuato e la bonona, fra il modello basco e il presunto quasi-gay israeliano, e invece sono loro che ci hanno invaso e ci controllano. L’Auditel parla di noi, non di loro. E il pollice sul tasto del telecomando è un antidoto solo parziale. Chi ha capito tutto è ancora una volta il mago delle televisioni, ossia il docente di comunicazione totale Silvio Berlusconi: quello che ancora una volta, alla presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa, ha ripetuto che il pubblico «che ci guarda» non è proprio quel che si dice qualificato, anzi, cultura da «seconda media, neanche nei primi banchi». Con il che, viene da chiedersi come facciano, questi di seconda media, ad accettare di essere trattati come merdine, pura massa amorfa, che si lascia guidare dal pifferaio di Hamelin con il suo sorriso perenne, forse indice della soddisfazione infinita di togliere soldi ai poveri per darli ai ricchi, a quelli delle medie per darli a quelli del liceo. Eh sì, finora ha funzionato, il grande scambio. Platee immense inebetite dagli show televisivi Mediaset, «implose nella privacy», secondo la definizione del filosofo Carlo Galli, e successivamente disponibili a votare in massa, qualcuno anche con entusiasmo, l’euforia degli abissi, per il Grande seduttore. Zap, zap. Ragazzi, ci siamo cascati tutti. Siamo cascati nella trappola Lecciso, nella trappola trash, nella trappola "cult", pronuncia "cùlt", all’italiana, secondo la lezione di Marco Giusti. Ormai dovrebbe essere chiaro il fatto che il trash è una faccenda da intellettuali, tutti orgogliosi di avere la bacchetta magica per trasformare il kitsch in "camp" e il "rubbish" in trash. Ma pattume era e resta immondizia, e viceversa. Senza sottolineare che c’è una sottile vena reazionaria, nella teorizzazione del trash, riconoscibile dal fatto che si può indurre il popolo a trangugiare qualsiasi schifezza, e anzi lo si incoraggia nei suoi gusti da seconda media o da quinta elementare, con la soddisfazione di avere imposto un trend (e loro, poveri diavoli, magari ci credono, eccome se ci credono: e le povere diavole difatti si vestono da coatte della moda, con le pance di fuori, i rotoli di ciccia sull’orlo dei jeans, la mutanda in vista, già logora per un paio di lavaggi di troppo). Ma no, no. Dopo un po’ il trash stufa. Stufano anche i brutti sporchi e cattivi dovunque siano raccolti, nell’isola o nella vecchia fattoria. Stufano le soap storiche incredibili tipo Rivombrosa. Vogliamo il glamour, chiedono gli happy few, al momento tristissimi per la verità, dateci la cultura, il "never complain never explain" ripetuto da Arbasino, le prose complicate, gli spettacoli esclusivi, i libri difficili, al diavolo "Il codice Da Vinci", "Angeli e demoni" e tutta la produzione di Dan Brown. E quando si presenteranno Dolce e Gabbana a spiegarci che la loro pubblicità scorreggiona, o scorreggina, non deve scandalizzare perché il petomani c’erano anche nelle corti dell’ancien régime, gli si spiegherà che appunto si è fatta la Rivoluzione francese proprio per non sentire più i peti dell’aristocrazia, e si sono tagliate le teste perché non se ne poteva più di pidocchi e parrucche. Chiaro? (E poi, com’è che siamo tutti intelligenti, quando si parla del trash, quasi che si fosse creato un nuovo ceto, la "smart class", di cui tutti si sentono membri: ma dai, anche fra di noi, anche fra di voi ci sono gli idioti!). Se no, uno si lascia trascinare dall’inerzia, e passa un sabato sera in compagnia di Giorgio Panariello, e assiste a un mega-show privo di qualità, privo di sceneggiatura, di script, di storia, di redazione, con gli ospiti Aldo, Giovanni e Giacomo che sono venuti a presentare il loro ultimo film e che non hanno preparato niente, neanche una gag piccolina, uno scherzo, uno skeccettino, niente. Tanto è la tv. Perché fare il minimo sforzo? Tanto è il pubblico della tv, ragazzi, seconda media, ultimi banchi. Pensionate meridionali ultrasessantacinquenni e di bassa scolarità, recitano le categorie del marketing, con il realismo brutale con cui si identificano i target. Non vale la pena di investire talento, non serve a niente. D’altronde, che cosa si cerca nel tubo catodico o nello schermo al plasma? Informazione? Lotta fra titani, fra Charlie Rossella e Clemente Mimun, con ciprie e nuvole rosa, gossip e boatos sulla nuda cronaca, e un acquiescenza politica senza troppa dedizione: ma non c’interesserà mica il contenuto dei tg, vero? Ci importa soltanto del duello eventuale fra i due direttori, se si odiano, se si amano, se sono e restano amici, ancorché magari «di merda» secondo la notevole espressione di Michela Rocco di Torrepadula portavoce del ripudiato Mentana. E se Rossella farà il sorpasso, e se Mimun, nel caso, si farà venire l’esaurimento. L’approfondimento? Volete l’approfondimento? Ma non vi basta "Porta a Porta"? Non vi basta "Ballarò"? Ne volete dell’altro? Innanzitutto bisognerebbe sapere se l’esuberante professor Brunetta è un agente dell’approfondimento e se approfondire significa urlare in venessiàn sulla voce degli altri (in questo caso, Brunetta è approfondito e approfonditore). Zap. Per chi proprio vuole, ci sono le due isole serie, "L’infedele" e "Otto e mezzo". Che hanno dati d’ascolto risibili, intorno al 2 per cento, sul piano generale, ma siccome ciascuno di noi vive in comunità molto intellettuali, devono avere picchi altissimi di ascolto in alcuni settori specifici, intorno all’80 per cento di share fra i professori universitari. In realtà, anche Giuliano Ferrara e Gad Lerner sono soggetti alla legge dello zapping: qualcuno li incrocia sempre, scanalando e si sofferma qualche istante. Ma poi anche i professori universitari riprendono l’esercitazione con il pollice sui tasti, e addio cari, adieu. Non fa neanche male, lo zapping esasperato, lo scanalamento estremo, perché insegna che la vita televisiva è effettivamente blob, spezzettamento della realtà e della virtualità in frammenti montati in modo talmente casuale da sembrare necessario. Alla fine, comunque, qualcosa resterà da vedere, su Raisat, su Cult Network, su qualche canalino semiclandestino. Vedremo "Lo sciagurato Egidio" di Giorgio Porrà, vedremo David Letterman di tanto in tanto, vedremo qualche mezzo film, qualche mezza partita di calcio. E ci renderemo conto, grazie al cielo, che il problema del controllo televisivo è tutto una questione di pluralismo e di mercato: cioè bisognerebbe convincere le pensionate a mettere su parabole e decoder, i condomini a centralizzare il padellone, cablare tutto, e poi sia quel che sia. Sapendo già che inserito nel vortice di uno zapping infinito, Berlusconi si riduce a comparsa mediatica. Si può puntare cinicamente il telecomando all’altezza di Silvio, schiacciare il tasto, e premere ancora, freddamente, con ferocia, impedendogli di guardarci in casa e di criticare la nostra preparazione culturale: finché di quell’uomo non rimarrà che una traccia leggerissima o comunque leggera, mentre si fa tarda la sera.
06/01/2005