La Finanziaria dei mille dolori sta arrivando in porto. Ha resistito alle spallate di Silvio Berlusconi, agli interessi confliggenti dei partiti dell’Unione, al forcing dei ministri per evitare limitazioni di budget, alla battaglia di interdizione del partito dei sindaci, al «fuoco amico» degli osservatori vicini culturalmente al centrosinistra come Giacomo Vaciago e Gianfranco Pasquino, alle bordate della Confindustria e delle categorie del lavoro autonomo, alle critiche degli economisti liberali che propugnavano più tagli alla spesa e meno tasse. Nel lessico di Romano Prodi, questa è più o meno l’istantanea del «paese impazzito», in cui gli interessi si coalizzano per resistere alle misure risanatrici del governo. «Lo avevamo detto che avremmo fatto una finanziaria di centrosinistra», conferma il ministro per l’attuazione del programma, Giulio Santagata. Ossia una manovra fondata su una riscontrabile redistribuzione del reddito. Con un contenuto politicamente impegnativo, anche se controverso sul piano tecnico. Nel momento in cui il provvedimento giunge al rush finale, si avvicina quindi il tempo di un bilancio politico. Va da sé infatti che la Finanziaria è lo specchio di un equilibrio nella coalizione; e la prima considerazione, in proposito, è che finora l’Unione ha tenuto. Risultato tutt’altro che ovvio, vista l’esigua maggioranza al Senato e le differenze interne alla coalizione. Piuttosto, c’è da considerare il prezzo politico pagato da Prodi e da tutto il centrosinistra, reso misurabile dalla perdita di consenso nei sondaggi. Un effetto inevitabile, frutto di un provvedimento che scontenta tutti? Questo starebbe a significare l’efficacia della legge, secondo lo schema enunciato dal premier. In effetti diversi analisti, fra i primi Mario Deaglio, hanno messo in luce come la metamorfosi continua dei provvedimenti parziali, annunciati, cambiati, ritirati, ripresentati (Suv, successioni, aliquote), abbia fatto perdere di vista i due obiettivi di fondo della manovra: risanamento e rilancio. Eppure, sul complesso della legge, critiche severe sono venute, numerose, anche da sinistra: il riformista ds Nicola Rossi ha segnalato una sfasatura "culturale" della Finanziaria rispetto a una lettura moderna della società italiana; il sindaco di Bologna Sergio Cofferati ha criticato con asprezza un impianto basato su una identificazione sfuocata del reddito e della ricchezza. In realtà, la prima Finanziaria del governo Prodi è il frutto ampiamente inevitabile di una coalizione composita, che si regge sulla capacità di Prodi di tenere insieme tutte le componenti. Sotto questa luce, le critiche sono probabilmente giustificate dal punto di vista economico. Un economista di sinistra come Paolo Leon ha scritto fin dalla presentazione della manovra che essa potrebbe avere un effetto "depressivo". Il che deriva, se non si capisce male, dal fatto che toglierà un certo volume di risorse dal circuito economico. Il giudizio di Paolo Onofri, l’economista bolognese che ha collaborato con i governi della legislatura di centrosinistra (1996- 2001), è più sfaccettato: la Finanziaria sarebbe «un primo timido passo» verso una razionalizzazione della spesa e delle entrate. Ma il significato più profondo di una manovra voluminosa, e che incide nel vivo della redistribuzione (sempre secondo Onofri, «prende complessivamente un po’ dalle famiglie e dà, nel complesso di misure dal lato delle entrate e dal lato delle spese, alle imprese»), è ovviamente politico. Alla fine dell’iter parlamentare, se non avverranno incidenti, Prodi sarà riuscito a mantenere compatta una compagine politicamente farraginosa. Stando così le cose, si avvera nella sostanza il disegno progettato a suo tempo da Arturo Parisi, l’«alleanza a perimetro largo», tenuta insieme dalla figura del leader della coalizione. Si capisce in questo senso, o almeno si ricostruisce più precisamente a posteriori, il ruolo giocato da Prodi: ha chiesto al ministro dell’economia Tommaso Padoa-Schioppa di fungere da garante della manovra rispetto alle istituzioni europee, e nel contempo di presidiare senza cedimenti i saldi di bilancio, accettando di caricarsi di una funzione ragionieristica. Assicuratosi il risultato complessivo, il presidente del Consiglio ha guardato con un certo distacco il proliferare delle proposte, degli emendamenti, delle contrattazioni, delle azioni di lobbying e di scambio. Evidentemente ciò che serviva a Prodi era chiudere il cerchio della coalizione, portare a casa il risultato politico. Il bistrattato programma dell’Unione, nella sua ampiezza, ha funzionato da testo guida per sterilizzare i conflitti interni. Nel momento in cui il percorso parlamentare si concluderà positivamente, il premier potrà sostenere di avere conseguito un successo politico indubitabile. Certo, si tratta di un successo interno: che ci siano stati errori di comunicazione, o che l’impatto prevedibile della manovra abbia determinato contraccolpi in termini di gradimento, resta il fatto che secondo diversi sondaggisti «non si è mai assistito a un precipitare del consenso così rapido di un governo in carica». Ma evidentemente Prodi sente di poter mettere nel conto una fase di piano inclinato nella popolarità del governo. Ciò che gli serviva era il controllo completo sull’asse che va da Clemente Mastella all’ala bertinottiana della coalizione. Come gli ha detto Francesco Guccini quando lo ha incontrato nell’aula magna di Santa Lucia a Bologna, «resisti, resisti, resisti». È vero che la Finanziaria ha scontentato tutti, anche coloro che ne trarranno benefici (difatti, la Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo esprime un giudizio negativo sulla "filosofia" della manovra, criticata per il prevalere delle entrate, ma incassa silenziosamente il taglio del cuneo fiscale). Ma è anche vero che figura stampato in maiuscolo in tutti i manuali di scienza politica il principio per cui i governi devono sfidare l’impopolarità nella prima fase della legislatura. Dopo verrà il tempo delle riforme, delle modernizzazioni, della rimessa in efficienza. Dopo. Quando si profilerà il partito democratico, quando l’ala riformista dell’Unione potrà impegnarsi per realizzare i propri obiettivi. Quando la nevrosi della legge finanziaria lascerà il campo alla qualità potenziale del governo. Basterà aspettare poco per capire se il caro prezzo pagato dall’Unione le sarà servito ad acquistarsi un futuro. n
30/11/2006