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Delle hit noi siamo i re

23/11/2006

Queste classifiche non erano mai state pubblicate. Volete sapere come va la musica italiana? Qual è lo stato dell’arte, chi sono i compositori più accreditati, gli autori più pregiati, le canzoni più eseguite? Ecco fatto. "L’espresso" pubblica in esclusiva uno studio della Siae sulle classifiche del diritto d’autore fra il 2001 e il 2005. Una graduatoria basata sugli incassi, con le statistiche che per la prima volta tengono conto non soltanto delle vendite discografiche, ma di tutto l’indotto musicale, da Internet ai film, dalle suonerie telefoniche agli spot pubblicitari. È il ritratto della musica italiana, come appare secondo il responso del mercato. Non mancano diverse sorprese. Ma soprattutto ci sono molte conferme. Prima di tutto: a vedere i dati si può tirare un lieve, ma avvertibile sospiro di sollievo. Fra gli autori musicali italiani che incassano all’estero il primo è Ennio Morricone. Cioè un musicista fatto e finito, controfiocchi compresi, che tutti conoscono per le colonne sonore dei film western di Sergio Leone, con le loro invenzioni musicali, i leitmotiv che sottolineano il presagio, il dramma, il duello, la morte. Talento artigiano applicato all’arte cinematografica. Semmai il grande pubblico non sa che Morricone non è un compositore che rifiuta sdegnosamente i meccanismi dell’arte commercial-popolare, anche in campo canzonettistico. A suo tempo ha arrangiato i grandi successi anni Sessanta di Gianni Morandi, quelli che finivano in ginocchio da te per dire non son degno di te, e se qualcuno ha un po’ d’orecchio riconosce la mano del maestro anche in un successo che risale ai tempi del lancio della teleselezione, "Se telefonando" di Mina (l’orchestrazione e i cori sono inequivocabilmente del maestro; tanto che è riconoscibile, la scrittura, anche nella bella e sussurrata versione francese di Françoise Hardy). E Nino Rota è quarto, grazie alle colonne sonore con Fellini, Coppola, Visconti, Monicelli e mezzo cinema italiano). Dopo di che, ci si può sbizzarrire nella ricerca degli eroi del pop, per la verità senza troppe sorprese: perché dietro Morricone c’è l’infallibile Eros Ramazzotti, con il suo melodico moderno che, dicono, piace molto nel mondo latino; e il chirurgico, micidiale Toto Cutugno, uno che ha sempre sostenuto che le grandi canzoni sono fatte con gli "accordi del barbiere", quelli che conoscono tutti e tutti o quasi sono in grado di fare sulla tastiera di una chitarra. Italianità deteriore, quella di Cutugno? "Sono un italiano vero" come inno nazionale del kitsch deprivilegiato? Questo per gli schizzinosi, quelli che detestano il pasoliniano potere "abietto" delle canzoni. Ma allora bisognerebbe spiegare i successi sanremesi, i brani per Celentano, un pezzo per Ray Charles, una carriera di "hit song", e concludere che, se Toto è una malattia, deve trattarsi della stessa malattia profonda della società italiana, che dev’essere contagiosa anche all’estero. Può anche incuriosire che il giovane ed energetico Tiziano Ferro, intelligente e modaiolo interprete di diversi trend americani, superi di un paio di lunghezze Zucchero Fornaciari, musicista assai più completo, che dei suoi duetti con maggiori e minori star internazionali ha fatto un programma artistico e commerciale. Ma non sorprende affatto ritrovare nella classifica, oltre al sempreverde Domenico Modugno, alcuni "autori solo autori", non conosciutissimi dal grande pubblico, come Mauro Malavasi (collaborazioni intense con Dalla e Carboni fra gli altri), il paroliere Adelio Cogliati e con lui Piero Cassano (uno dei migliori e forse non del tutto riconosciuti canzonettisti italiani, a cui si deve gran parte della produzione di Ramazzotti e dei Matia Bazar). In sostanza dai borderò internazionali viene fuori un’immagine nel complesso classica se non ipertradizionalista della musica italiana. Può sorprendere, infatti, accanto alla presenza dei soliti mostri sacri, come Riccardo Cocciante, il cui successo è stato ravvivato dalle sue opere pop come "Notre Dame de Paris", e l’infallibile Tony Renis, con il totem di "Quando quando quando", ancora utilizzatissimo anche nella pubblicità (nonché le versioni "titaniche" per Celine Dion), la completa invisibilità mondiale di Vasco Rossi. In parte dovuta al fatto che alcune delle più famose canzoni del Blasco sono frutto dello stile compositivo di un bravissimo e semi-ignoto autore, l’ex chitarrista dei Luti Chroma Tullio Ferro, e in parte per la caratterizzazione esplicitamente nazionalpopolare di Vasco, che ne fa un fenomeno straordinario di massa in Italia e uno sconosciuto appena fuori confine. Immagine classica che viene confermata all’estero dalla classifica delle canzoni, in cui nel quinquennio campeggia al primo posto il bolero di Andrea Bocelli "Con te partirò" (autori Francesco Sartori e Lucio Quarantotto), formidabile operazione M&M, "musica e marketing", della producer Caterina Caselli, che con il tenore non vedente ha creato un caso planetario, sintesi di melodramma e musica moderna, un "emotional pop" capace di colpire il pubblico mondiale con la forza dello stereotipo e di professionalissimi colpi bassi. Non sembra un caso allora che nelle prime posizioni, ancora più in alto di "Nel blu dipinto di blu", cioè quella "Volare" che cominciò a spopolare al Festival di Sanremo del 1958, ci sia la favola pseudonapoletana di Lucio Dalla, "Caruso", che non si sa se è una canzone tremenda o suprema, ma è comunque capace di suggerire alle platee di mezzo mondo l’incanto ora vero e ora da cartolina di Surriento, «la dove il mare luccica», fra lacrime, commozioni, singulti partenopei e mille versioni tutte ugualmente "artistiche". Insomma, a guardare l’elenco della Siae, l’immagine esterna dell’Italia musicale è davvero una miscela di pop e di Otto-Novecento, di canzoni contemporanee e di opera lirica, dove la "Turandot" di Piccini e "Azzurro" di Paolo Conte convivono con "Un’emozione per sempre" e "Più bella cosa" dell’infaticabile Eros Ramazzotti, o con l’ineluttabile "Arrivederci Roma" di Renato Rascel, hit da crociera, turismo e souvenir d’Italie. Ma dove i giochi diventano durissimi, e la competizione estrema, è nella "chart" degli autori più ricchi per gli incassi in Italia. La top ten infatti è uno specchio del gusto dominante: tolti il dominatore Morricone e Pino Donaggio, specialisti di musica da film, la graduatoria risulta priva di incertezze, come gerarchia dei valori popolari. In testa il fortissimo Vasco, poi Mogol: il quale dopo l’avventura battistiana si è reinventato alla grande con i tre dischi realizzati con Celentano e Gianni Bella (ora però giunti a un "calando"); segue il solito Ramazzotti, e al quinto posto si impone Lucio Battisti, scomparso prematuramente nel 1998, che continua a precedere Zucchero, Claudio Baglioni, Luciano Ligabue, Lucio Dalla, e tutti i cantautori da Francesco De Gregori a Fabrizio De André, da Antonello Venditti a Gino Paoli. Il recente successo del "Cofanetto", pubblicato dalla Bmg, che comprende la produzione esoterica di Battisti, le 40 "non canzoni" scritte con Pasquale Panella, è la dimostrazione di come il "maestro solitario" permanga non soltanto nei cuori ma anche nei negozi e sul mercato. Colpisce anche qui la posizione non altissima di Roby Facchinetti, autore principe dei Pooh, e quella di Franco Battiato, il quale evidentemente non riesce a replicare le vendite folli dei tempi di "Centro di gravità permanente". Ma va anche detto che le distanze sono molto ravvicinate, se è vero che fra la trentesima e la quarantesima posizione ci sono alcuni bestseller come il paroliere Franco Migliacci, coautore con Modugno di "Volare" (che secondo una certa corrente di specialisti della musica italiana è il più bravo in chiave tecnica, per la sua capacità di scandire e far risuonare le sillabe nei versi delle canzoni); e anche protagonisti della scena musicale come il giovanilista Max Pezzali (autentico sociologo della provincia profonda) e il più argomentato musicista della scena nazionale, Ivano Fossati. Va anche aggiunto che le classifiche delle royalties vengono molto influenzate dalla pubblicazione di album nuovi, collezioni, raccolte, "greatest hits", partecipazioni a compilation, trasmissioni televisive. Non cambiano molto le cose a guardare la classifica delle canzoni, dove comanda l’eterna "Volare" di Modugno e Migliacci, ma dove si affaccia un altro hit da falò e da spiaggia, da comitiva e da gita scolastica, "Io vagabondo" dei Nomadi, che non sarà una grandissima canzone dal punto di vista della scrittura musicale ma evidentemente ha lasciato inciso nella psicologia collettiva la voce di Augusto Daolio, sfortunato "Eric Burdon della Bassa", come fu chiamato a suo tempo. I cultori di una visione tradizionale della musica domestica resteranno stupiti per la presenza, sia in campo nazionale sia all’estero, di una specie strana di star internazionale, Benny Benassi, trentanovenne disc jockey specializzato in musica "house" e "electroclash", che nel 2003 ha sbancato con "Satisfaction"; e anche per la posizione altissima di "Blue" (Eiffel 65), uno hit da dieci milioni di copie sul mercato mondiale. Ma in sostanza, la musica è sempre la musica. E la musica italiana è sempre la musica italiana. Un po’ provinciale, un po’ "glocal". Con un grande passato alle spalle, e per il futuro si vedrà. n

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