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Zapping con warhol

07/09/2006

Come si dice "navigare" fra i palinsesti televisivi? Non è più "fare zapping", perché lo zapping appartiene all’epoca dell’offerta televisiva limitata. Oggi invece, come si è detto ripetutamente, si guarda "la" televisione, senza selezionare a priori fra i singoli programmi. Questa esplorazione continua mette allo scoperto la povertà dell’offerta tv, nonostante il numero di canali disponibili. Succede spesso che in una serata non si trovi praticamente nulla di vedibile. In questi casi viene spesso in soccorso un canale come Cult (142 del bouquet Sky). Di recente, per esempio, è passato più di una volta il film di Chris Rodley "Andy Warhol. La storia completa" (2002), che è una biografia umana e intellettuale dell’artista americano, scomparso nel 1987 a 58 anni. Dite che ci vuole una determinazione molto seria per mettersi a guardare un documentario su Warhol in una sera di estate declinante? Dipende: se la serata abbonda di film scadenti, di reality horror sulla chirurgia estetica, di programmi sulla vita sessuale di coppie suburbane (ciccione costrette dai fidanzati o mariti a indossare roba fetish e a usare vibratori imponenti), be’, allora tanto vale dare un’occhiata alla parabola di un genio dell’arte pop. A rivedere l’opera di Warhol ci si rende conto che il guru dalla parrucca platinata, come viene detto nel film di Rodley, «ha manipolato all’infinito la stessa idea»: con effetti tali da portare il Walter Benjamin della "riproducibilità tecnica" all’autismo industriale, alla serialità compulsiva e anonima del mercato totale. Sicché può anche essere che Warhol sia depressivo, dal momento che ci frulla tutti dentro la civiltà di massa. Ma poi succede che Cult mandi in onda anche un film prodotto da Yoko Ono in cui si vede John Lennon che prepara, arrangia e suona le canzoni di "Imagine", con alcuni musicisti fra cui anche un altro beatle, George Harrison.Vedere suonare dal vivo, per prove, errori e cambiamenti, un talento popolare come Lennon è un antidoto alla serializzazione warholiana. L’arte "abietta" delle canzoni funziona soltanto quando è registrata dal vivo, il cantante stona e il chitarrista deve correggersi, e tutto insieme "fa" musica. Il resto della programmazione, naturalmente, è Warhol senza Warhol: ma chi vorrà salvare la televisione, dovrà sottrarla alla rigidità seriale del palinsesto (oppure proporre palinsesti meno raccapriccianti, oh yes).

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