Arriva l’estate del nostro scontento. Ci vorrebbe soltanto il misuratore di invidia sociale, una colonnina di mercurio che si impenna allorché accanto parcheggia la Porsche Cayenne di un centrocampista anche di fascia bassa. Si profilano le ruote del Suv, monumentali, e silenziosamente riesplode la lotta di classe. Da una parte, mezzo metro più in basso, c’è quasi tutto il reddito fisso: lavoro dipendente, impiegati, funzionari, dirigenti, e non parliamo dei pensionati, insomma, coloro che hanno sofferto la mazzata del cambio dalla lira all’euro e alla fine hanno capito che i vincitori stavano di là: nel lavoro autonomo, nelle corporazioni, fra i professionisti e i commercianti, fra chi aveva potuto aggirare il mercato, approfittando della mancanza di concorrenza. Perché i cinque anni del centrodestra, fra sushi bar e boutique, vacanze estreme e lussi da ultima spiaggia, barche e porti, sono stati un’epoca di lotta di classe condotta con altri mezzi. Una "revanche" economica praticata con il metodo Clausewitz. L’impoverimento dei ceti medi era evidente, ma nessuno diceva che simmetricamente altri ceti si arricchivano. Lo dicevano i vecchi marxisti: l’inflazione è un tiro alla fune; c’è chi ci perde e chi ci guadagna: indovinare chi. Sotto la benedizione di Berlusconi e Tremonti l’Italia delle libertà si è sentita davvero liberata. I condoni hanno confermato l’idea che non pagare le tasse era un peccato veniale. Fenomenali accumulazioni di ricchezza si sono verificate sfuggendo al fisco. L’elettorato di Forza Italia ha avuto mano libera nella grande rapina contro l’elettorato dell’Unione. Non ci sono stati soltanto gli immobiliaristi di punta, come Coppola, Statuto o Ricucci, che hanno capitalizzato lo zenith di un mercato in continua ascesa, dopo la dissoluzione della "bolla" in Borsa. Il mattone è diventato l’investimento obbligato, sparando in alto i prezzi e mobilitando l’indotto, dalle ristrutturazioni alle agenzie. La spregiudicatezza dello stile di un Ricucci, con l’ostentazione provinciale di danaro unita all’assalto del salotto buono Rcs, è un esempio della grande mutazione antropologica nel nuovo capitalismo: gli ex palazzinari che diventano ceto d’avanguardia. Le analisi come quelle di Riccardo Faini, secondo cui il modello industriale italiano era «obsoleto» e quindi condannato al declino, non consideravano la creazione di ricchezza selettiva basata sulla rendita (come ha rilevato Geminello Alvi nel saggio "Una repubblica fondata sulle rendite"). L’apparato industriale soffre la concorrenza asiatica, quindi cambia, si ristruttura, innova. Invece, alcuni settori protetti hanno ricostituito margini di profitto impressionanti. La sensazione, come sempre, è che il paese sia povero ma che gli italiani (una parte di loro) siano ricchi o siano diventati ricchissimi. L’esibizione di denaro nei santuari del supercazzeggio italiota è tale da suscitare la meraviglia e l’ammirazione masochista dei poveri. A Poltu Quatu il ceto medio poco riflessivo si assiepa ancora sul molo per ammirare l’arrivo di Flavio Briatore con una svampita. A Cortina sono tornate le stagioni d’oro, fra i ludi dell’intellighenzia e valori catastali schizzati verso l’impossibile, oltre i 20 mila euro al metro quadro. Forte dei Marmi è di nuovo un luogo dell’ostentazione di ricchezza senza se e senza ma. Ma anche località meno note vedono il concentrarsi di un’euforia economica clandestina, quasi mai censita dal fisco. A Jesolo i nuovi appartamenti sul mare sono decollati in qualche caso verso i 16-17 mila euro al metro quadro, attirando investitori sconosciuti alle cronache ma capaci di staccare assegni superiori ai 3 milioni di euro. Sul Garda trentino, dato che il litorale è da tempo proprietà tedesca, ormai si specula sull’entroterra, a prezzi triplicati nel giro di un paio d’anni. È L’Italia del mezzo milione di barche, dei fuoristrada, delle 10 mila auto sopra gli 80 mila euro immatricolate in un anno. Ed è quella nazione atterrita dal governo «delle sinistre», come diceva e dice Berlusconi, dal «vampiro» Vincenzo Visco, che ha già spostato un po’ di soldi in Svizzera, ha affollato gli studi dei notai per formalizzare le donazioni ai figli, allo scopo di evitare il ritorno dell’ imposta di successione (su cui Prodi e il centrosinistra, con le loro vaghezze, si sono quasi giocati le elezioni). Ma è anche la nazione che osserva con soddisfazione l’andamento della curva del rapporto fra rendita e reddito da lavoro, sempre più simile a quella degli anni Cinquanta. Il popolo dell’Iva, delle professioni, degli albi a tariffa minima, delle categorie a evasione massima, guarda naturalmente con fastidio le liberalizzazioni del ministro Pier Luigi Bersani. La rivolta delle élite, testimoniata dalle serrate dei farmacisti e dagli scioperi degli avvocati, costituisce uno dei fenomeni più "moderni" a cui sia capitato di assistere: superato soltanto dalla velocità con cui gli iperliberisti della Casa delle libertà si sono trasformati in difensori accaniti del corporativismo. La metamorfosi è grottesca quanto rivelatrice. Da un lato dimostra quanto sia ingombrante la presenza nella società italiana di un privilegio di classe, percepito dai privilegiati alla stregua di un diritto castale; e dall’altro quanto sarebbe politicamente incisiva una politica di liberalizzazione, in modo da introdurre merito e concorrenza in una collettività afflitta dall’assenza di mobilità sociale. Il tema della concorrenza era stato lanciato da Luca Cordero di Montezemolo, con un’operazione culturale di ampio respiro, il convegno della Confindustria a Vicenza, che è stata stroncata dall’irruzione del Caimano, venuto a riprendersi la pancia degli imprenditori. Alla fine, potrà apparire bizzarro che siano i vecchi e nuovi ricchi a dover temere le politiche liberali. Ma è anche la prova che ci sono gli spazi politici per fare quello che Berlusconi in campagna elettorale deprecava: redistribuire la ricchezza attraverso il fisco, mettere sullo stesso piano "il figlio del professionista e il figlio dell’operaio". Il panorama dell’estate mostra che una certa dose di giacobinismo nelle regole e nella prassi non farebbe male: muoverebbe interessi, sposterebbe passioni. E probabilmente creerebbe consenso. n
10/08/2006