gli articoli L'Espresso/

L’impero del pallon

27/07/2006

Ognuno ha i problemi suoi. I francesi sono riusciti a trasformare il caprone, Zidane, nella vittima, e Canal Plus l’ha santificato con un’intervista da pianto greco. Un signore di 34 anni che si lamenta perché in campo un avversario gli ha detto qualcosa su sua sorella, e la civile, cartesiana, laica, repubblicana, giacobina Francia si è stesa ai piedi di quel furore arcaico, basato sull’offesa alla famiglia, al clan, alla tribù. Non tiriamo fuori relativisticamente le radici e i diritti della cultura maghrebina, perché questo sì sarebbe razzismo. Ognuno ha i problemi suoi. Le lunghissime dirette televisive dal Circo Massimo, con il pullman degli azzurri accompagnato da una folla festante, hanno mostrato un paese senza troppi impegni lavorativi, ma soprattutto hanno fatto capire che quelli che continuano a dire che il calcio è una metafora della vita, come Enzo Bettiza sulla "Stampa", sono un passo indietro: il calcio non è una metafora, è la vita stessa, in un’identificazione senza scarti. Anche i grandi network internazionali, come la Cnn, hanno intuito che al Circo Massimo stava accadendo qualcosa di grosso (o di Grosso, è uguale) e hanno tenuto il collegamento per un’eternità. Evidentemente avevano capito con una certa rapidità che stava accadendo qualcosa. Il milione o due di persone raccolte a festeggiare rappresentava un evento rivelatore di questa nostra tarda modernità: faceva venire in mente le scene raccontate da un grande storico, Paul Veyne, in un libro classico sull’antichità, "Il pane e il circo". Panem et circenses, appunto, espressione che non si usa più perché sa di sufficienza moralistica, di superiorità schizzinosa, così come nessuno più parla di "calcio come ideologia" (altro libro classico di Gerhard Vinnai), insomma oppio dei popoli e dei poveri. Con la diretta totale della grande festa romana, la televisione ha mostrato che il calcio è un elemento iscritto dentro la contemporaneità, non diversamente da come le feste imperiali di 2 mila anni fa erano iscritte nella vita pubblica di allora. Forse la vera differenza è che oggi è impossibile diventare imprenditori politici del calcio: non c’è l’imperatore che "dà" la festa, il pallone si è autonomizzato. E la tv dilata l’euforia facendola diventare avvenimento prodigioso. Conta lo spettacolo delle folle: lo spettacolo sul campo di gioco, mediocrissimo, è solo un pretesto per il teleromanzo di massa.

Facebook Twitter Google Email Email