Il referendum non ha soltanto bocciato la riforma costituzionale della Casa delle libertà; ha anche portato alla luce gli attriti intrinseci all’alleanza di centrodestra, che soltanto il gusto del potere aveva ammorbidito. Adesso, dopo la conclusione di un lungo ciclo politico-elettorale, gli spiriti più spregiudicati della Cdl possono finalmente riconoscere ciò che prima negavano, e cioè che la coalizione è un coacervo irriducibile a unità. Non ci sono soltanto i Follini e i Tabacci a mettere il dito nella piaga della leadership. Anche Gianfranco Fini sembra uscito dal plotone dei gregari per prospettare un "superamento" della Cdl. Mentre Pier Ferdinando Casini sta cercando di recuperare una libertà di manovra che l’ombra di Forza Italia aveva oscurato. Si vede che il centrodestra è diviso in due tronconi. Da una parte c’è il patto strategico che ha unito Silvio Berlusconi e Umberto Bossi; dall’altra il possibile nucleo moderato che potrebbe vedere affiancate An e l’Udc. Il ruolo della Lega potrebbe risultare decisivo per le sorti del centrodestra. Si sapeva che il movimento di Bossi sarebbe entrato in tensione con la sconfitta della devolution; adesso si tratta di osservare se ciò determinerà ripercussioni significative sul "forzaleghismo". L’arroccamento nel Lombardo-Veneto è un atteggiamento esclusivamente difensivo; la cosiddetta questione settentrionale è stata assai ridimensionata dal voto referendario; nelle grandi città il clima politico è cambiato a sfavore della Cdl, e in particolare delle spallate istituzionali su cui Lega e Forza Italia avevano trovato una sintonia. Quindi il rapporto privilegiato tra berluscones e bossiani è tutto da ridiscutere. Di fronte a una triplice battuta d’arresto (elezioni politiche, amministrative, referendum), l’unica speranza della Cdl consiste in un eventuale collasso della maggioranza di centrosinistra. Ma in assenza del più colossale degli autogol da parte dell’Unione, nel centrodestra le spinte centrifughe si prospettano molto pronunciate. Certo, per il momento non conviene a nessuno prendere di petto la questione più calda, ovvero la posizione di Berlusconi. Anzi, è prevedibile che la questione della leadership venga surgelata per poter attraversare il deserto estivo. Tuttavia nella Cdl ci sono troppi fattori che giocano a favore di un rimescolamento. Colpisce, ad esempio, che la prima vera iniziativa del governo Prodi, il programma delle 12 liberalizzazioni di Pier Luigi Bersani, abbia scosso in modo così forte il centrodestra: e che alcuni fra i più accesi liberali di Forza Italia, a cominciare dall’economista Renato Brunetta, abbiano gridato allo scandalo («Misure sovietiche»), mentre in altri settori dell’alleanza è emerso il riconoscimento a denti stretti che quelle riforme avrebbe dovuto realizzarle la Cdl. Il fatto è che l’iniziativa di Prodi e Bersani ha fatto affiorare di nuovo un’altra duplicità, se non un’ulteriore schizofrenia, dell’alleanza berlusconiana: che comprende alcuni liberal-liberisti particolarmente ideologizzati, ma anche una quantità di rappresentanti di corporazioni e rendite che si sentono minacciate dalla brezza di libertà economica suscitata dal decreto del ministro dello Sviluppo economico. Ma la minaccia principale della Cdl è un fattore ancora più semplice, quasi brutale: vale a dire la durata del governo Prodi. Se l’esecutivo infatti è in grado di tenere sulle ragioni fondamentali del programma, risanamento finanziario e rilancio della crescita, ogni mese guadagnato comporta un problema in più per il centrodestra. Nel medio periodo infatti la credibilità dell’asse portante del governo (i ministri e i sottosegretari di peso maggiore, da Padoa-Schioppa a D’Alema, da Amato a Bersani, da Rutelli a Letta) renderebbe evidente una differenza qualitativa rispetto all’età berlusconiana. In poco tempo lo scontro non sarebbe più sull’ideologia, ma sui contenuti dell’attività di governo. E se deve discutere sui provvedimenti, lo si è già visto, il centrodestra è fatto di solisti, ognuno dei quali ha una propria ricetta per praticare l’opposizione. Da questo punto di vista, la Casa delle libertà ridiventa un cantiere. Con un capomastro assente per ferie. E la corsa alla successione aperta.
13/07/2006