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I mangiatori di bambini

15/06/2006

Una delle prove più convincenti che si può fare intrattenimento di livello è offerta dalla programmazione di RaiSat Extra. Per esempio, sabato 3 giugno, in prima serata, è andato in onda "Mangiavamo i bambini", un programma di Raffaella Spaccarelli (regia di Luca Nannini). Era un talk show piuttosto insolito: i protagonisti erano Miriam Mafai, Giorgio Napolitano, Mario Pirani e Alfredo Reichlin, riuniti in una "conversazione televisiva con il pretesto degli ottant’anni". Naturalmente nel programma, girato a gennaio, il presidente Napolitano è ancora un tranquillo senatore a vita; la banda dei quattro è unita da una evidente complicità; la piccola chiesa romana e raffaellesca di Sant’Eligio degli Orefici consente un racconto disteso e non di rado ironico, come diviene evidente nella conversazione (Pirani: «Io ho smesso di mangiare i bambini abbastanza presto, dopo l’Ungheria». Mafai: «Ma io, ogni tanto… ogni tanto li mangio ancora»). Ma al di là dell’interesse per un colloquio che investe le scelte del passato, l’antifascismo, la critica per l’irrigidimento del socialismo reale, ma anche le ragioni famigliari, le svolte di tipo esistenziale e privato, e si stende sulla politica di oggi con gli «approdi riformisti», va analizzato questo tipo di televisione perché consente un approccio complementare alla storia contemporanea. Gli storici del futuro, infatti, dovranno decidere se affidarsi soltanto alle fonti scritte, oppure accedere anche, tra gli altri, ai documenti filmati. Nel qual caso non si tratterà soltanto di riscontrare le affermazioni, di valutare il realismo e l’equilibrio dei giudizi, bensì di osservare anche le espressioni, le psicologie, i gesti. Con il che, la storia contemporanea si complica, ma si complica anche il ruolo potenziale della tv. Perché si aprirebbero spazi impressionanti di operatività, per chi volesse svolgere questo lavoro di storia "complementare": in Italia mancherà di tutto, ma non i testimoni d’epoca. Anzi, varrebbe la pena di proiettare l’attenzione sui due decenni (anni Cinquanta e Sessanta) in cui l’evoluzione sociale e politica è stata la madre di tutti i cambiamenti. Ci sono due momenti, il miracolo economico e il primo centrosinistra, che aspettano soltanto di essere narrati. E qui non si tratta di fare, come si dice troppo spesso, "servizio pubblico"; basterebbe provare a fare programmaticamente un po’ di servizio "civile".

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