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À la guerre comme à la guerre

14/02/2002

Chissà dove sono gli albori della crisi: nelle pantofole del Berlinguer imborghesito oltraggiosamente da Forattini? Nel Natta desnudo ridicolizzato dalla congrega di "Tango"? Dopo di che, ci si può chiedere se non sia un guadagno per la psicologia collettiva che il sancta sanctorum della politica venga violato sistematicamente dagli eroi popolari dello show system. Nella transizione dal Roberto Benigni che in pieno trip sentimentale prende in braccio il più amato segretario del Pci al Nanni Moretti che sputtana a voce rauca la leadership ulivista si stende il cambio d’epoca e di stile rappresentato della secolarizzazione politica totale. Dunque il problema sarebbe in una satira che non si limita ad accompagnare e assecondare la fase politica: la festa con cui il "fanfascismo" fu fatto saltare come un tappo di champagne rispettava le convenzioni e il gioco corporativo delle parti. Mentre l’exploit di Nanni Moretti a piazza Navona è un fallo di invasione acclamato come un’azione personale irresistibile, in quanto dà voce al sentimento pop: con questo tipo di dirigenti non si vince, e quindi il clown si sostituisce al re, straccia le regolette, rovescia i ruoli e fa saltare il banco. Si sta già giocando con carte nuove, altroché. Fa un po’ specie che la perfidia politica si eserciti tutta a sinistra, e che manchi del tutto una satira della destra ai danni della Casa delle libertà (laggiù nel condominio, al massimo barzellettine oleografiche, o qualche canagliata estemporanea e octroyée della Gialappa’s). Ma "a prescindere" dall’autolesionismo dell’opposizione, e dalla sua sfinita debolezza in termini di carisma (e di palle: la ritirata di piazza Navona docet), è fuori dubbio che per legge fondamentale la politica ha orrore del vuoto; e che proprio per questo, se si apre uno spazio, qualcuno lo occupa. Anni fa, si chiamava supplenza. Del sindacato, del movimento, dei magistrati. Oggi è una sostituzione secca. Le Iene raspano la cronaca, il Gabibbo parodizza l’ombudsman, "Striscia la notizia" produce un telegiornale intrusivo e alternativo. L’intonazione è irresistibilmente qualunquista, con una declassificazione della politica a tecnica del potere: con la conclusione inevitabile che se poi "quelli" il potere non sanno esercitarlo, una risata o un urlo li seppellirà. E con il dubbio mica tanto sottile, come ripete Sylos Labini, che la deprecata demonizzazione praticata da Daniele Luttazzi con l’uso eccentrico del mezzo, ai danni del Cavaliere, abbia recuperato un paio di milioni di voti che il centrosinistra dava per dispersi (e, per converso, che le prestazioni mimiche di Emilio Fede siano in realtà un’arma politica permanente, non un cabaret serale iper-realistico). Se le cose stanno così, viene la tentazione di concludere che non vale la pena di versare lacrime per la crisi della politica e della sinistra, e neanche di cercare l’antidoto in una sobrietà vecchio stampo. Nell’alternativa fra il professionismo rétro e l’eclettismo attuale, in una politica senza confini di stile e di genere, la regola "à la guerre comme à la guerre" sembra l’unico programma disponibile.

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