Diabolico, Pippo Baudo, nella sua immensità. O apostolico, se si preferisce. Ecumenico, se vi va. Si sa che Sanremo è in crisi, ogni anno dopo Fabio Fazio e Piero Chiambretti gli indici di share sono un attentato alle coronarie dei dirigenti Rai a cominciare dal capo di RaiUno Fabrizio Del Noce, e alla tranquillità psicopolitica del conduttore, si chiami Simona Ventura o Giorgio Panariello. Perché il presentatore del Festival non è professionista dell’intrattenimento come tutti gli altri, un Celentano o un Morandi, un Fiorello o un Teocoli: è l’eletto, quindi il depositario, il grande, anzi l’immenso sacerdote, a cui il Comune di Sanremo, la Rai e una quantità di altri istituti e organismi affidano volta per volta quel patrimonio preziosissimo e delicato che è il Festival, deposito di storia e di audience, specchio dell’italianità, risorsa televisiva e pubblicitaria, gran baraccone di svippati (secondo i malevoli), vetrina di quella reliquia suprema che è la canzone italiana. Chiamato a compiere il miracolo dopo anni declinanti, ovviamente Superpippo non si è chiesto se la canzone italiana esiste, se esiste ancora, e quale sia eventualmente il suo stato di salute. Sarebbe come chiedersi se esiste la Prima repubblica. Oppure se esiste la famiglia, la mamma, la sposa, la cognata. Sono dubbi metafisici immensi che Baudo non si pone. Certo che la Prima repubblica esiste: forse non nelle procedure, nelle maggioranze e nelle minoranze, ma è viva e presente nella memoria, nella nostalgia, nel rimpianto: non dice sempre Sua Baudità che gli manca tanto la Dc? E qual era, lo schema risolutivo della Prima repubblica? Ma la lottizzazione, ça va sans dire. E allora un professionista sommo della spartizione si applica al problema del target di pubblico, delle fasce di audience, delle nicchie generazionali e scodella la sua ricetta. Forma una bella commissione, composta da Paolo Buonvino, Patrizia Ricci e Dario Salvadori, e via con il musica maestro. Non diciamo però che lo spirito del Festival nell’interpretazione baudista è nazionalpopolare. Parola detestata da Baudo al punto, lo si ricorderà, da farlo erompere a suo tempo in un drammatico j’accuse contro l’allora presidente della Rai Enrico Manca. Postuliamo però, senza accanimento, che Pippo ricorda bene il compromesso storico: e allora, volete la solidarietà nazionale? La solidarietà generazionale? Eccovi Francesco con Roby Facchinetti, padre Pooh e figlio Dj («Dio delle cittààà, e delle immensitàààà…»). Uomini soli, come diceva la vecchia canzone con cui proprio i Pooh vinsero a Sanremo. Oppure, se volete un pronunciamento esplicito a destra, ecco i fratelli uniti, cioè Gianni e Marcella Bella: una coppia di cui almeno lei, nel ricordo del coniglio dal muso infallibilmente nero, sottolineato nero, di "Montagne verdi", è di destra destra (si era anche candidata alle europee con An, la destra che canta con la destra che conta). Come dice il primo comandamento, anzi il decalogo intero di Pippo, Sanremo non è solo Sanremo, è l’arco più che costituzionale, senza nessuna conventio ad excludendum che non sia stabilita dal volere del pubblico. Quindi, dentro tutti: profumi di destra per Al Bano, forse non politici ma canori; sentori di centro e di centrismo per Johnny Dorelli, di cui si ricorda un verso piuttosto democristiano che diceva: «Per me che son nullità… nell’immeeeensità!»: l’immensità va sempre forte, Pooh o non Pooh, Dorelli o non Dorelli. Ma va da sé, come riconosce il manuale Cencelli di Pippo, che il pubblico voglia anche una spruzzata di sinistra. Non c’è che da chiederla ed è qui, à la carte: per esempio con il ritorno della rossa, strehleriana e brechtiana, ma all’occorrenza anche battiatiana, Milva (che ha presentato una canzone dal titolo provvisorio "The show must go on", come in un celebre pezzo dei Queen: ma noi suggeriamo "Alexanderplatz", segnale topografico della riunificazione postcomunista, un messaggio geopolitico e strategico prevedibilmente gradito ai dalemiani). Oppure Paolo Rossi, che tuttavia presenterà una canzone di Rino Gaetano con la mediazione politica di Claudia Mori in Celentano: e qui potrebbero nascere problemi bicamerali, perché ci si ricorda che il povero Rino Gaetano è stato il geniale ma trasversale autore di "Nun te reggae più", in cui sillabava versi oltraggiosi come "Pci Psi Pri Pli Dc Dc Dc… Nun te reggae più". Un cantautore radicaloide, forse pannelliano, che oltretutto in quella canzone d’annata, dannata e condannabile citava tutti, da Agnelli, Pirelli, Cazzaniga a Bearzot, Raffa, Villaggio, da Causio a Thoeni, ma non Pippo Baudo, ohibò. Praticamente tutti di sinistra erano i parolieri rifiutati, gli esclusi di lusso, Edoardo Sanguineti, Alda Merini, Margherita Hack, Rita Levi Montalcini: sarà che la commissione ha un pregiudizio verso i senatori a vita? Verso i poeti? Verso la Hack? Sono bei dilemmi politici, che potrebbero essere mitigati solo dal pensiero che tuttavia è passata Nada, con un brano intitolato "Luna in piena": Nada è diventata una cantautrice sperimentale, oltre la canzone e presumibilmente oltre la politica, ma il suo vecchio amore per l’anarchico Piero Ciampi la colloca a sinistra della sinistra. E Fabio Concato, non è uno che ha una faccia da centri sociali? Oltretutto, si presenta con una canzone che si chiama "Oltre il giardino", con sentori di mirto ma soprattutto di Peter Sellers, quindi politicamente eretica. A questo punto Baudo si dev’essere preoccupato, troppi sinistri, troppa Unione, ancorché di fatto: e ha chiamato Antonella Ruggiero. Ci siamo capiti: voce angelica. Intonazione celestiale, e acuti sublimi. Con un pezzo pacifista, "Canzone fra le guerre". Ma anche, la signora, una devota abitudine a interpretare con grande o immensa intensità, o con intensa immensità, chiedete a Don Backy, la grande musica del repertorio religioso, preferibilmente nelle cattedrali: è o non è una brillante strizzata d’occhio al cardinale presidente della Cei, in chiave teodem? Non è un bell’esempio di equilibrio, di equilibrismo, un gesto di riguardo quasi margheritico? Il resto è intrattenimento spartitorio. Un po’ di giovani, un po’ di sconosciuti come il grande Piero Mazzocchetti, che ha spopolato in Germania, come Paolo Meneguzzi che ha spopolato in America Latina, e altri che hanno spopolato in posti spopolati; un po’ di spirito jazz con Amalia Grè, un po’ di Battisti con Leda, un po’ di tutto, compresi Daniele Silvestri, Simone Cristicchi, Stadio, Velvet, Zero Assoluto, Tosca. Tosca? Problema politico aggiuntivo, perché porta una canzone dal titolo "Il terzo fuochista": non sarà una rivendicazione sindacale, contro l’abolizione efficientista e neoliberista dei fuochisti, come è già accaduto in ferrovia con il secondo macchinista? Vabbé, è andata. La Prima repubblica della canzone sopporterà anche i sindacati, già adeguatamente fronteggiati da Sua Immensità Baudo qualche decennio fa. Al massimo, se il conflitto diventa troppo caldo, si manderà in scena Mango, con la sua canzone intitolata interrogativamente "Chissà se nevica": evocazione di Bernacca, di previsioni del tempo ineluttabilmente fallaci. Ma come si fa, a chiedere se nevica: ma è chiaro che non nevica, non è nevicato, non nevicherà. Sta cambiando il clima, chiedere a Pecoraro Scanio. Potrebbe arrivare la Seconda repubblica. Abbiamo male alle ossa, c’è un’umidità insolita anche per la Riviera dei fiori, in quel mare d’inverno che è come un film in bianco e nero visto alla tivù. Già, ha da passà l’inverno. Ha da passà Sanremo. Tutto passerà, ma non l’immensità. n
18/01/2007