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A tutto c’è un Limiti

22/06/2000

Paolo Limiti? C’È chi dice trash, chi dice nostalgia, chi parla di "tv delle mummie". Aldo Grasso lo tumulÒ come il direttore di «un karaoke dell’oltretomba». Intanto, perÒ, mummie o no, il suo programma per la festa della repubblica, "Evviva il 2 di giugno", con Albertone che faceva il compagnuccio della parrocchietta, la Lollo che faceva la Lollo, il collegamento da mitomani con il Quirinale, e l’Inno di Mameli in esecuzione integrale, ha raccolto il solito diluvio di ascolti. Con i suoi eventi al di sotto del kitsch, la tv di Limiti rappresenta a modo suo un fenomeno nazionale. Non si vede infatti chi altri potrebbe allestire ogni giorno, nel sacrario di "Alle 2 su Raiuno", una simile liturgia del revival, con tutte quelle reliquie, quei feticci, quei reperti. Un trattato in diretta di antropologia dell’audience. Ma potrebbe anche essere, ipotesi più colpevolizzante, un ritratto iper-realista della società italiana contemporanea. A fare il sociologo in studio, con il suo "pensiero unico" messo a punto in decine di programmi, Limiti si diverte. A 60 anni, dopo gavetta, esperienza, successo, 300 testi di canzoni alle spalle, riesce ancora a scoppiare in risate che dovrebbero essere contagiose. A suo modo, è un professionista. L’eventuale "professionista de che?", sarebbe una domanda dettata da un sussiego malevolo. Critici più generosi hanno detto che fa una tv pessima, ma la fa bene. Anzi, "alla grande". Parla in inglese con gli ospiti, traducendo freneticamente i suoi superlativi, unico grado dell’aggettivo che riconosce (definizione preferita: "incredibile"). Ci può essere Joan Collins, la cara vecchia perfida Alexis di "Dynasty", oppure Darlene Conley, la favolosa cellulitica Sally Spectra, elefantessa mangiauomini in "Beautiful". Lui le tratta come sacerdotesse dell’eros, indifferente alle ingiurie del tempo, alla mole, al silicone. Con la stessa partecipazione sentimentale con cui si fa raccontare l’autobiografia di Sandra Milo o l’amore coniugale di Orietta Berti con il bravo Osvaldo, fra imitatrici e prestigiatori, giornalisti e presunti scrittori. Per una sorta di superiore cinismo, o per fiuto peculiare, Limiti dà l’impressione di condividere fino all’ultima goccia i gusti del suo pubblico. L’Italia siamo noi. Fratelli d’Italia. Parenti d’Italia. Viva l’Italia. I suoi idoli sono gli idoli delle attempate in studio, con i loro mariti soddisfattissimi di gravare sui conti dell’Inps. Ma lui è anche il pastore del suo gregge, la guida che lo orienta, lo indirizza, lo richiama, lo istruisce, lo catechizza. Accanimento senile, è stato detto; ma potrebbe essere pedagogia nazional-popolare distillata in tv, familismo amorale mediatizzato, identità nazionale coagulata dalla filosofia del rotocalco. Proust e Pampuria Infatti trasmette senso comune, Limiti. Una carriera condotta quasi interamente fra radio e tv gli ha conferito una magica sintonia bernabeiana con quell’immensa platea che pensa i pensieri di tutti. Quale sarà il più grande tenore vivente? Ma Big Luciano, naturalmente, il supremo maestro new age Pavarotti, con un pensiero reverente al Dalai Lama. E di conseguenza il più grande soprano in circolazione? Katia Ricciarelli, con un saluto al grande Pippo. In prima fila sulle poltroncine dello studio tv può esserci Nilla Pizzi, "la regina della canzone italiana", ancora capace di sgolarsi con le canzoni del dopoguerra. Ma sicuramente non manca la moglie americana, Justine Mattera, una mascherina di Marilyn Monroe, di solito un po’ intristita dal vitalismo schiacciante del Paolissimo, da sempre affascinato dallo spettacolo erotico dell’ambiguità. Il quale fra un raptus poetico e l’altro, una citazione di Cocteau sulla morte, o di Proust sulla madeleine, non disdegna di conversare in prosa con Pampuria, la pelosa cagnetta- pokémon del programma. La specialità di Limiti sono gli aneddoti. Di qualsiasi cantante, attore, regista, uomo di spettacolo, scrittore, poeta, lui è in grado di estrarre dal repertorio un episodio, un fatterello, un frammento di vissuto. Gli episodi sono in genere insignificanti, ma anche questo serve a segnalare un tono di verità. L’Italia è indotta a pensare che se l’onnisciente Limiti, che ha conosciuto tutti e tutte, racconta delle inezie, vuol dire che non sta bluffando: cioè non usurpa ruoli epici, magari ha incontrato tante volte la povera Dalida e la straordinaria Mina, ma al massimo hanno preso un caffettino. Come numero più oliato, la rivelazione: «Voi non lo sapete, non ci crederete, adesso ve lo dico io, ma questa canzone Mina non la voleva fare». A sentire Limiti, non si poteva portare un capolavoro alla Tigre che quella borbottava mamì e mamù, e faceva le smorfie. Poi i volonterosi la convincevano a non fare l’impulsiva, e lei seppure recalcitrante entrava in studio, e tirava giù alla prima prova un’incisione alla diotifulmini, con i tecnici che alla fine singhiozzavano per l’emozione. Lacrime, lacrime vere, brividi autentici, «pelle d’oca, signori». Limiti ha fatto uno speciale di successo, su "Viva Mina!", in cui questa storia l’ha raccontata almeno 10 volte. Sempre con la voce che sottolineava la soddisfazione impagabile di poter rivelare come anche i mostri sacri in fondo sbagliano, eccome, sono anche loro esseri umani, e sbaglierebbero di più se non ci fossero dei fessi che si impegnano a rimediare ai loro istinti e ai loro capricci. Ha poi un suo gusto archeologico, che gli permette ogni tanto di estrarre qualche preziosità, per stupire i criticonzi: ma lo sapete che a metà degli anni Venti, quando la Fiat lanciò la 509, commissionò una marcetta pubblicitaria nientemeno che a Riccardo Zandonai? Lui sì che lo sa, e la fa eseguire dalla sua orchestra e dal cantante di giornata, con l’aria di dire: beccatevi anche un po’ di cultura. E una nota a piè pagina sulla "Francesca da Rimini". Operazione Amarcord Ma dove il professionismo di Limiti non ha rivali è nel repêchage dei minori della canzone italiana degli ultimi 40 anni. Volete Donatello, l’efebo che cantava "Malattia d’amore", e chissà dov’era finito? Eccolo qua, con 20 chili in più e il pizzetto machista. E che ne dite di Tiziana Rivale, che vinse a sorpresa nel Festival del 1983 e poi si disperse in California e uscì dal giro? Pronti via, la Rivale si piazza al centro dello studio per cantare a distesa, camicette di latex, spacchi vertigo, aria da material girl che si è lasciata un po’ andare, ma insomma può anche piacere di più perché come sex-symbol sembra piuttosto trattabile. E insomma ci sono tutti e tutte, miracolati e sacrificate: Rita Pavone con l’aria sempre incazzosa verso tutto il mondo della tv, Mario Zelinotti che cantò con Little Tony "Cuore matto" per ripiombare nell’anonimato, Anna Identici che dopo le sue storie tristissime è divenuta uguale a un’istitutrice svizzera di quelle inflessibili, Gilda Giuliani che s’impegna con caparbietà per dimostrare che se avesse avuto un briciolo di fortuna poteva diventare la Mireille Mathieu italiana. Avete nella memoria qualcuno degli anni spensierati? Da Limiti c’è. C’è "l’idolo incontrastato dei juke box" Betty Curtis, c’è il flebile Piero Filippini, c’è "il cantante Dino", ci sono i New Trolls o almeno ciò che ne resta, e i Giganti, e Piero Focaccia, e Dora Moroni. Per questo gli speciali di Limiti sono imperdibili. Oltre a quello storico su Mina ne ha fatti sulla lirica, su Sanremo; e poi su Dalida, Wanda Osiris, Julio Iglesias, la Lollobrigida, Milly, la Callas, Marilyn Monroe, la Ricciarelli, Lucio Battisti (provocando l’ira dei fan battistiani sui newsgroup internettiani per la cifra monnezzara dello show), e naturalmente su Claudio Villa. Perché su quest’ultimo può scatenarsi, visto che ha in squadra la figlia naturale (sentenze e ricorsi permettendo) del reuccio, Manuela Villa, un po’ chiatta ma con certi lunghi guanti rossi che andrebbero bene per Jessica Rabbit; che si dedica a impressionanti duetti virtuali, con Claudio da un aldilà in bianco e nero e la ragazza a colori, roba da pelle d’oca o da scongiuri immediati. Ne viene fuori un Satyricon involontario, che ha molto, fin troppo, dell’Italia media di oggi. Una combinazione di tipi e di approcci dove tutto è livellato, privo di scale di valore. Se pensiero dev’essere, che sia debolissimo. In cui l’alto e il basso si equivalgono. Qualcuno si scandalizza, all’idea che la festa della Repubblica stia al livello del Disco per l’Estate. Ma forse l’unico vero peccato di Limiti, golosamente confessato, è di esporre integralmente la società italiana, con i suoi gusti e le sue preferenze esattamente come sono, come li sente lui e come sono diventati dopo anni di frullato tv. Spogliato delle ultime inibizioni, suffragato dall’audience, Limiti spiattella ogni giorno l’Italia che si intrattiene con se stessa, con i casi clinici di famiglia, con i suoi affetti deliranti, gli esperti da bar e le proprie cattive abitudini: un’Italia al cubo.

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