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Apocalisse senza riscatto

06/04/2006

Il finale apocalittico del film di Nanni Moretti, con gli incendi tribali appiccati dopo la condanna in tribunale del "Caimano", rappresenta la sintesi estrema di una visione altamente pessimistica dell’Italia contemporanea. Pessimistica eppure realistica. Oscuramente credibile. Un vaticinio non si sa quanto corretto dal desiderio che sia un antidoto. Secondo il regista romano, Berlusconi ha già vinto. Ha vinto vent’anni fa, quando è riuscito a imporre come un esercizio di libertà il trionfo delle sue tv commerciali. Libertà, ovvero tette e culi. Ovvero ipnosi popolare, penetrazione nella psicologia di massa, reality show dove la lotta di classe degradava al livello di invidia sociale. Eccolo lì allora, il berlusconismo: le sterminate platee televisive del gruppo Fininvest vengono modellate con il passare delle stagioni e con il succedersi dei palinsesti in modo da trasformarsi in un elettorato potenziale. Nel 1994 è bastata la creazione di Forza Italia, e l’idea «di un nuovo, un grande miracolo italiano», per fare coincidere l’audience del piccolo schermo con il consenso politico. Si era capito praticamente tutto quando i candidati della "gioiosa macchina da guerra", la povera alleanza dei progressisti guidata da Achille Occhetto, andavano nei supermercati del Nord e incontravano gli operai del postfordismo che fischiettavano ironicamente l’inno del partito proprietario: "E Forza Italia, per essere liberi…". Nel 2001, com’è noto, è bastato il "sogno", l’idea meravigliosa che il banchetto dei ricchi avrebbe lasciato cadere qualche briciola anche per i poveri e gli outsider. Cinque anni dopo, con un rovesciamento spettacolare, e con una capacità sregolata di incarnare in se stesso la protesta e il regime, la promessa e la furia, il Caimano sta puntando tutte le sue carte sullo spavento, su uno scontro di civiltà tra antropologie separate e irriducibili alla mediazione politica, demonizzando senza scrupolo alcuno metà abbondante del paese. Tutto verosimile, nella profezia cattiva di Moretti, tutto plausibile anche sociologicamente, se è vero che da vent’anni la realtà si stava disgregando senza riparo. Semmai le eventuali obiezioni riguardano il fatto che ciò che noi abbiamo chiamato berlusconismo in altri paesi avanzati si è chiamato semplicemente modernizzazione. Anche altrove, nell’Europa evoluta, il passaggio d’epoca è stato segnato dal disincanto, dall’irruzione del cinismo, dall’anomia sociale, dall’egoismo di classe, da venature demagogiche. E allora perché da noi tutto ciò ha assunto caratteri parossistici? Perché ha vinto l’autismo consumista, perché il legame sociale si è dissolto? Perché il Caimano, singolare impasto di conformismo cattolico e di spregiudicatezza amorale, scommette su uno stralunato giudizio di Dio tra le forze del bene, il suo clan, e l’esercito del male, "le sinistre"? Per rispondere occorre mettere a fuoco che il mutamento socioculturale è tanto più prevedibile e governabile quanto più sono saldi gli assetti istituzionali, quanto più la prassi collettiva vive di norme condivise, anche e soprattutto nell’orizzonte della vita quotidiana. Nell’età del Caimano, invece, la sospensione delle regole ad personam, e la rottura delle convenzioni primarie a beneficio dei clientes, porta la politica sulle soglie della guerra civile strisciante e permanente. Risulta conveniente un’imprenditoria politica che punta le sue carte sul duello mortale tra fazioni contrapposte. Per cui non c’è troppo da stupirsi se poi, nell’apologo cinematografico, la caduta del Padrone sfocia tragicamente nello scontro attizzato dai suoi fan, ossia in una sindrome che evoca scene di matrice jugoslava. A schermo spento, dopo l’ultima livida scena del film, viene naturale anche interrogarsi sulle terapie possibili per il futuro. Ovvero chiedersi se la società italiana contemporanea possieda riserve di tenuta civica e di lealtà pubblica per assicurare un futuro al paese. C’è un riscatto o no? Per Moretti la catastrofe si è già compiuta, e il pessimismo consente solo palliativi o elusioni nel privato. A maggior ragione, dopo un racconto così inquietante, privo di speranze com’è, bisogna chiedersi se la politica ha gli strumenti per reagire alla disgregazione, per tentare di invertire la rotta.

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