Vedere la serie di "Csi – La scena del crimine", nelle sue ambientazioni di New York o Miami (sul canale Fox Crime e su Italia 1) è un’esperienza rilassante: a patto di guardare gli episodi con lo spirito giusto, e cioè sapere che si vedranno storie tremende, omicidi spaventosi con particolari agghiaccianti. Eppure ogni puntata è positiva, rassicurante, definitiva. Si capisce da subito che il mondo rappresentato da "Csi" è altamente imperfetto, anzi, dannatamente sbagliato, dove i presunti colpevoli commettono atti che una volta si sarebbero detti innominabili, e magari anche le vittime sono tipini discutibili. Insomma non si salva nessuno, e nemmeno lo spettatore, a cui vengono inflitte magnifiche "slow motion" di proiettili che si infilano nel cranio, e altre devastazioni fisiche prodotte da armi proprie e improprie, con messe a fuoco di rara efficacia (e di notevole impatto sul cervello, sia su quello degli spettatori sia su quello delle povere vittime). E allora perché è rassicurante? Ma perché è l’esatto contrario dei telefilm complicati, esistenziali, metafisici, ambigui, in cui non si sa come va a finire davvero e fra assassini, assassinati e investigatori non si capisce chi è più colpevole. Nelle storie di "Csi" i ruoli sono chiari. E le trame sono meccanismi a orologeria. Non è come in molte story contemporanee, dove vige il principio di indeterminazione (perché in certe psicologie lambiccate, come ha enunciato di recente Cesare Pasqua in un romanzo di matematica precisione che è un’allegoria dell’Italia e della letteratura italiana, "Il viaggiatore di seconda classe", Robin edizioni, «i fatti hanno il difetto di rendere meno interessante la teoria»). Questo schema paradossale non vale per "Csi": qui siamo in pieno positivismo, i fatti sono fatti e le teorie valgono popperianamente solo in base alle evidenze scientifiche. Sulla scena del crimine ogni svolta narrativa è impressa da un riscontro empirico. Strumenti sofisticati, indagini analitiche, risorse tecnologiche servono per falsificare o verificare le ipotesi. E puntualmente gli indizi vengono provati, le macchinazioni svelate: poliziotti e criminali condividono lo stesso codice amorale, solo che il gioco rispetta le parti e ciascuno, di parte, fa la sua. Poi magari, dopo avere sbattuto in galera i colpevoli, ogni detective ha una sua vita o i suoi drammi: ma quella è per l’appunto un’altra storia.
09/03/2006