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Mattioli cita Berselli su “La Stampa” dell’11/9/2014


Modena la Rossa è delusa: “Qui non c’è più il Partito”

La a vuol sapere la vera verità?». Veramente, sì. «Bene, allora gliela dico io. Il punto è che qui di gente che sappia davvero fare politica non ce n’è più». Parola di Liviana Branchini dei pensionati Cgil, iscritta al Partito (non serve precisare quale: i nomi cambiano, ma il Partito – con la maiuscola – resta quello) da quando aveva 16 anni. Alle cinque del pomerig¬gio è alla Festa dell’Unità di Modena per un appassionante dibattito sulla formazione permanente. Nonostante tutto, compreso il rischio di slogarsi la mascella dagli sbadigli, rimane fedele alla linea. Ma non capisce più quale sia. L’epicentro del terremoto politico-giudiziario che sta travolgendo il Pd emiliano è a Bologna. Ma i suoi effetti devastatori si colgono meglio da Mo¬dena. Intanto perché è L’unico posto al mondo insieme alla Corea del Nord governato dallo stesso partito dal 1945. E poi perché sono modenesi i protagonisti dello psicodramma de¬mocratico, i due litiganti divisi dalle primarie ma accomunati dallo status di indagato. Nelle loro vite parallele ci sono le due anime del Pd. Stefano Bo¬naccini, 47 anni, è il classico apparatchik che ha fatto tutta la carriera nel partito iniziando dalla segreteria del¬la Figc, bersaniano di ferro poi diventato più renziano di Renzi. Matteo Ri¬chetti, 40 anni, la politica l’ha iniziata nella Margherita, prima lettiano, poi renziano della primissima ora, adesso fuori dal giglio magico. Separati in casa democratica e anche nella reazione all’inchiesta: Richetti ha rinunciato alle primarie con un videomessaggio su Facebook, Bonaccini vuole sempre correre e per farlo sapere ieri sera si è palesato a un’altra Festa dell’Unità, quella di Bologna.
Però questa vicenda, il «bel casino» della lotta fratricida cui aveva accen¬nato Renzi domenica, ormai diventato un casino bruttissimo dopo l’intervento della magistratura, peraltro previsto ma reso noto con sospetta tempistica (e giù dietrologie, sospetti e analisi da cremlinologi della Bassa) è l’ennesimo sintomo che la città sta sfuggen¬do dalle mani del Partito.
Negli ultimi tempi, si sono viste cose che noi umani di Modena non potevamo neanche immaginare. La Cgil che litiga con la Coop sulle aperture domenicali dei negozi. Le primarie per decidere il sindaco con la suora laica candidata dell’ala cattolica che accusa il fun¬zionario ex-Pci di aver fatto votare in massa i filippini in cambio di cene e al¬tri favori (e qui la realtà supera la fan-tasia: l’idea dei funzionari del Picei che usano come truppe cammellate i loro domestici non sarebbe venuta nemme¬no a Fellini). E il tutto scambiandosi in¬vettive sui giornali invece di litigare nel chiuso delle segrete stanze e uscirne so¬lo quando la decisione era presa. Poi, è chiaro, si vince ancora, perché l’opposi¬zione è una barzelletta: alle ultime am-ministrative, il candidato del centro-de¬stra ha preso il 12,5%, l’ex ministro Gio-vanardi il 4. Ma qui, in «quel gran pezzo
dell’Emilia» (copyright di Edmondo Berselli), qualcosa non funziona più.
«Le discussioni vanno benissimo, le primarie anche. Ma il Partito deve decidere, non chiedere ai suoi elettori di decidere per lui», spiega l’ex sindaco Giorgio Pighi. Infatti. Girando fra gli stand della Festa, mentre si lavora (gratis) per preparare le cene, è subito chiaro che la nuova classe dirigente tutta chiacchiere e camicie bianche non è esattamente popolare. Serpeggia il rimpianto per i vecchi quadri in grisa¬glia e mozione unitaria, altro che Renzi e i suoi boyseout fighetti. Roberta Bursi, 67 anni, «attivista da quando ne ave¬vo due»: «Renzi? Non mi piace». Carla Malpighi, 71, «rezdora» con le mani in pasta: «Rottamare? Che parola volgare. Stiamo buttando via il bambino insieme all’acqua sporca».
Gap generazionale? Nostalgia cana¬glia di chi ancora chiede ragionamenti più lunghi di 140 caratteri? Macché. Sarà che i volontari sono tutti bersaniani, ma Yuri Costi, 37 anni, ex assessore a Prignaho, sull’Appennino, parla della classe dirigente renziana come di un tortellino andato a male: «La voglia di protagonismo è la cosa più difficile da digerire. Nel Pei dovevi avere una formazione politica. Adesso basta essere giovani e carini». Ogni riferimento al belloccio Richetti, «il Kennedy di Spezzano» idolo delle ragaz¬zine dem, è puramente voluto.
Ora i capi si sbranano in pubblico, le tradizionali cinghie di trasmissione trasmettono principalmente lamentale e perfino la magistratura è meno rispettosa. Nei 19 ristoranti democratici della Festa di Modena sono molte più le foto di Berlinguer di quelle di Renzi. «Sono lon¬tani come gennaio dalle pesche», sospira Giuseppe Galvani, Spi-Cgil. «Richetti o Bonaccini? Mah, i miei pensionati hanno altri problemi…».

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