Baricco e Buttafuoco: il Rosso e il Nero, per evocare alla carlona ascendenze stendhaliane. I protagonisti del principale duello culturale, letterario, artistico, politico, romanzesco, storico, giornalistico, editoriale, melodrammatico, mercantile, lobbistico della stagione. Rosso e Nero fino a un certo punto, comunque. Alessandro Baricco è uno stracùlt del rossoverdismo, di una sinistra veltronica e televisiva (e adesso radiofonica, «perché la radio è più sommessa e meno volgare»), a cui quelli del "Foglio", sostenitori del "competitor" di destra, hanno sempre rimproverato le maniche arrotolate e il "fighettismo". Per cercare riferimenti culturali in materia, prima di leggere il nuovo bestseller di Baricco "Questa storia", consultare il suo instant book da Feltrinelli, anno 2002, titolo "Next", sottotitolo "Piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà" (l’incipit recita: «Ovviamente la prima domanda che viene in mente è: cosa diavolo è la globalizzazione?», e i link alle parole chiave vengono definiti "bonus tracks"). E Pietrangelo Buttafuoco, davvero sarebbe nero nero? Nerissimo, dicono tutti. Eppure, nell’intervista choc a Norberto Bobbio, anno 1999, dopo avere indotto il maestro dell’azionismo torinese a un clamoroso coming out sull’«eravamo tutti fascisti e ci vergognavamo di dirlo», di fronte alla domanda del filosofo, «mi spiega perché è fascista?», lo spudorato rispose: «Professore, confessione per confessione, io non sono fascista. Sono altro». Ecco. «Ho amato lo scandalo di chi gioca da fascista in questo dopoguerra perché è stata la prospettiva più inedita da dove ho potuto fare altro, diventare altro, per leggere e studiare in orizzonti altrimenti inaccessibili». Maliziosamente, si potrebbe dire che il funambolico Baricco non avrebbe saputo confondere meglio le acque. Certo che sarebbe un tiro mancino accostare il torinese acrobata multimediale autore di "Castelli di rabbia", che com’è noto conclude i suoi chilometrici ringraziamenti scrivendo che d’ora in avanti non scriverà più ringraziamenti, e notare che il siciliano dannunzian-futurista cultore dei legionari fiumani e dei loro fasti erotici termina il suo libro con un "backstage" che chissà dove l’avrà trovato o mimato (un sicilianuzzu che anglicizza?). Provocatorio sarebbe anche fonderli in un Barifuoco o in un Buttaficco. Ma l’artificio suonerebbe traditore, perché "Questa storia" (Fandango) di Baricco e "Le uova del drago" (Mondadori) sono due libri lontanissimi, che forse fondano due tradizioni opportunamente inventate, secondo il precetto di Eric Hobsbawm. Intanto, però, hanno inaugurato due metodi commerciali contrapposti: il marketing totale di Fandango, neoeditore di Baricco: quattro copertine su progetto grafico di Damir Jellici e disegni di Gianluigi Toccafondo. Che non si capiva a che cosa servissero, quattro illustrazioni diverse, finché non si sono viste a Roma le affissioni con i disegni di Toccafondo divenute cartelloni cinematografici à la Fandango. Mentre per Buttafuoco, una sola copertina ma stupenda, e un anti-marketing addirittura perfetto: un diluvio di recensioni-interventi-discussioni sul "Foglio", con Giuliano Ferrara a tirare il gruppone, in modo da innescare il passaparola (Baricco preferirebbe "word-of-mouth"?), sicché dopo la prima prudentissima tiratura, la Mondadori è andata in rottura di stock, ristampando affannosamente, mentre le librerie restavano sprovviste, «Buttafuoco? Esaurito!» ("sold out"!). Quanto al valore letterario, non è questa la sede. Fenomenologicamente, va registrato che Buttafuoco è stato lanciato da un incessante fuoco amico di Giulianone: «Pietrangelo Buttafuoco ha la sensibilità patologica di Louis-Ferdinand Céline ma scrive per sua e nostra fortuna nella lingua salutare di Alessandro Manzoni». A seguire la raffica del plotone del "Foglio". «Romanzo fascistissimo ed eccezionalmente partigiano». «Ecco un nemico sontuoso». «Andrebbe letto a scuola» (Alessandro Giuli). Oppure: «Sarà un fascista de merda». «Vabbé, però è bravo» (Stefa- no Di Michele, ricordando gli scambi di battute a "l’Unità", primi anni Novanta, quando Buttafuoco scriveva sul "Secolo d’Italia". «Un occhio e un orecchio formidabili»; «l’incantevole ritmo» (secondo quel talento inconfondibile della stroncatrice "professional" Mariarosa Mancuso). L’unico stroncatore autentico è uno dei bastian contrari seri, Ernesto Galli della Loggia: «Il libro fornisce una serie di falsi storici ingenui quanto clamorosi, invenzioni da favoletta orientate a mettere da parte le miserie e il fallimento del fascismo in Sicilia». Sarà il contrappasso, sarà la nemesi: perché nel successo speculare di Baricco c’è invece un qualche riconoscimento della plausibilità storiografica della sua ricostruzione di Caporetto. Quindi viene da dire che lo scontro di egemonie culturali c’è davvero, fra le storiacce di Buttafuoco e il paradigma ipercorretto della corrente bariccata, con la destra-destra, quella del "Secolo d’Italia", che insorge dicendo: «Ma vedete che ce li avevamo anche noi gli intellettuali, colpa nostra se non siamo stati capaci di sostenerli!». Chi è causa del suo mal, eccetera. A chi è stufo dell’egemonia, si può ricordare che il romanzo del quarantasettenne Baricco vende tre volte il romanzo del quarantatreenne Buttafuoco, ma il confronto è evidentemente ineguale perché il creativo, l’autore e conduttore di "L’amore è un dardo", viene da successi vagamente inquietanti come "Seta" e il rifacimento in stile contemporaneo dell’Iliade. Mentre Buttafuoco non ha immagine televisiva né trionfi pubblici alle spalle, e neanche il bacino "midcult" del presunto rivale. Chi obietta al successo di questi due quarantenni antinomici può trovare ragioni serie. Scrivendo su "la Repubblica" la recensione di "Questa storia", Michele Serra ha realizzato un gioiello di dosature («In uno dei capitoli più tromboneschi, e più coinvolgenti, che abbia mai letto negli ultimi anni», «si arretra di fronte a certe sonate stentoree», «certe volte si fa "ooooh" e si applaude»). A sua volta, il libro di Buttafuoco è sembrato più la descrizione di un romanzo che un romanzo fatto e finito. Il suo fascismo, e dai!, «un fascismo sniffato come cocaina», secondo un altro siciliano, Francesco Merlo, sempre su "la Repubblica", è assaporato in «un delirio irritante e squisito» (per la verità Merlo si prende anche il gusto paternalistico e campanilistico di definire Buttafuoco «giornalista giovane e di grande talento», forse per segnalare gerarchie almeno anagrafiche, ma promuovendolo, urka!, al rango di «nostro Tolkien»). D’altronde, recensendo tempestivamente Baricco, "il Foglio" diceva che «non ci sono maniche di camicia arrotolate, in questo romanzo», «niente seta, niente oceano mare», e il sommario esclamava: "Bel romanzo". Onore delle armi, insomma. Forse non tira aria di grande coalizione per niente. Almeno fra egemonie letterarie.
02/12/2005