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Bocciato dall’Europa

03/05/2001

Silvio Berlusconi può essere irresistibile, avere in tasca l’incarico di Carlo Azeglio Ciampi, programmare 100 giorni da Grande Sogno, eppure il provincialismo della Casa delle libertà, dopo la copertina di "The Economist", sfiora l’impensabile. Il Cavaliere in persona dice che l’inchiesta del settimanale inglese, bibbia neoliberista, è «spazzatura». Umberto Bossi allude a un complotto europeo ordito da D’Alema. Gli altri alleati di Forza Italia, da Fini a Casini, trattano il caso con sufficienza, come se si trattasse di una bizzarria anglosassone, e i britannici non avessero capito le vere caratteristiche di Berlusconi, la simpatia, l’anticomunismo, lo spirito del fare, l’eclettismo mediatico. La realtà è che le domande e le critiche di "The Economist", poi seguite da quelle di "El Mundo" riguardo a presunti flussi di pesetas da Telecinco verso sue società domiciliate nei paradisi fiscali, vanno al cuore di un problema politico, e di una questione pubblica, che nel nostro Paese sono stati oscurati da una campagna poderosa: la quale è riuscita a convincere buona parte dei cittadini che l’anomalia del magnate entrato in politica, il conflitto d’interessi, la storia del suo intreccio con la politica, e i misteri all’origine della sua fortuna economica, oltre alla scarsa trasparenza della sua struttura societaria, sono solo simpatiche caratteristiche di un uomo che era ed è troppo geniale per occuparsi anche di formalismi. In sostanza, l’affondo di "The Economist", e magari anche le punzecchiature di "The Guardian" e del "Financial Times", nonché la scomunica di "Le Monde" e la strigliata di "The New York Times" riprese da "The Herald Tribune", non costituiscono un atto di malevolenza verso l’Italia e gli italiani, ma l’espressione del dubbio che Berlusconi non sia un politico dal profilo europeo. È per questo che risultano deludenti ed elusive le riflessioni di esponenti della business community come Letizia Moratti, secondo cui le grandi testate di scuola liberale dovrebbero «fare uno sforzo supplementare per capire cosa ha rappresentato nel sistema italiano la novità Berlusconi. E allora probabilmente sarebbero meno ingenerosi». La tesi di fondo è che «i nostri amici inglesi e americani fanno l’errore di applicare il loro metro a una realtà che è sicuramente diversa». Vale a dire che l’eccezione è l’Italia, non il monopolista Berlusconi. L’anomalia è un Paese che ha rimesso a posto i conti ed è entrato nell’euro, non il portatore del conflitto d’intessi. Singolare visione, ma non incongruente con la formidabile combinazione di Sozialmarktwirtschaft e di supply side economics, di economia sociale e di tardoreaganismo, la ricetta magica per lo sviluppo. E se i mercati non ci credono, si risponde nella Casa, tanto peggio per i mercati.

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