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Buona squadra: non la voto

21/06/2001

Habemus Berlusconem secundum, senatore Cossiga. Bella squadra, secondo il trainer. Delusione immediata, secondo l’Ulivo. E per il più capzioso interprete della politica italiana? «Mi paiono esagerate le critiche sollevate dai Ds dei vari riti, dalla Margherita e dall’Ulivo. Presi uno per uno molti ministri hanno un profilo che, per dire, Romano Prodi non avrebbe esitato a inserirli nella sua compagine. Penso al ministro degli Esteri Ruggiero, al ministro per l’Innovazione tecnologica Stanca, al ministro della Sanità Sirchia, al ministro per le Infrastrutture Lunardi…». Ma non è un governo dei tecnici. «Tutt’altro: è il frutto maturo del principio di alternanza. Fra destra e sinistra, non fra i due eufemismi che contengono la parola "centro". Nella formula bipolare, c’è da diffidare quando si evoca quello stato d’animo che è il centro. Il centro non è più un soggetto politico». E quindi, come conseguenza? «Quindi per igiene politologica cominciamo a dire che il Berlusconi 2 è un governo di destra. Destra europea, sulla scia di Aznar e in passato della signora Thatcher. Questa definizione è di per sé una conquista concettuale, in un Paese dove il termine destra ha sempre avuto un connotato spregiativo». La chiarezza terminologica è utile, ma non è ancora un giudizio. «È un governo di destra con alcune anomalie. Ci sono ministri che non mi sentirei di definire di destra: non Ruggiero; nel Regno Unito, Antonio Martino sarebbe un liberaldemocratico». È un’anomalia minore. «L’immagine di un governo non è data dalla sommatoria dei ministri. Al di là di episodi come l’infelice dichiarazione dopo avere ricevuto l’incarico, si giudicherà l’indirizzo politico generale, che sarà dato essenzialmente da Berlusconi. Non solo in quanto è sancito dalla Costituzione, ma perché è il capo di un partito specialissimo come Forza Italia». Partito specialissimo perché è l’emanazione diretta del capo. «Vede, la concezione politica di Berlusconi oscilla fra il qualunquismo e il populismo. Sbaglia chi dice che non è democratico, che non è antifascista. Lo è a modo suo, con naturalezza, da piccolo borghese della Brianza». Un populista democratico. «Incline a vedere la politica ridotta all’alta amministrazione. E convinto di avere un rapporto diretto con il popolo». Dicevamo delle anomalie nel governo. «C’è l’anomalia di una figura che non concepisce la politica come lavorio, come mediazione. Sono persuaso che se il pool di Milano non lo avesse puntato in maniera persecutoria lui avrebbe potuto perfino sostenere Mani pulite. È una concezione grezza della politica, in cui si iscrive anche l’anticomunismo. Io, che sono stato picchiato dai comunisti, colloco fra i grandi, De Gasperi e Moro, anche Togliatti, per la sua opera di democratizzazione e per la difesa delle istituzioni in momenti critici. A Berlusconi una riflessione simile è estranea». Ma l’anomalia più grande non è il conflitto d’interessi? «Lo chiede a me? Ho risollevato io il problema, ai tempi della Bicamerale, e nel silenzio del Senato sento ancora dietro di me i Ds che mormorano: queste cose dovremmo dirle noi. Invece si doveva tutelare il patto della crostata». Ce lo terremo, il conflitto d’interessi? «No, Berlusconi in qualche modo lo aggiusterà, anche perché nel suo ruolo diventa un organo dell’Unione europea, e la sua questione proprietaria potrebbe trasformarsi in un caso istituzionale europeo. Proverà ad aggiustarlo anche se non concepisce che è essenziale risolvere il problema di separare il potere del denaro dalla formazione del consenso. Gli è estraneo il criterio di un grande giurista inglese come Dicey, secondo cui la democrazia non esiste senza una pubblica opinione libera di esprimersi. Per questo in campagna elettorale si è osservata la tendenza a trasformare l’informazione in pubblicità». Ed è per questo che fra un "totus politicus" come lei e il Cavaliere c’è incompatibilità di fondo? «Ho simpatia per lui, e lui è capace di grande cortesia, con chi non dipende da lui. Con me, la cortesia deriva dal fatto che io non posso essere comprato. Comprato con la seduzione, intendo. Inoltre ai suoi occhi io non conto nulla. E sa perché? Perché non ho fatto i soldi». Creare patrimoni è una dote politica? «In un profilo teologico-filosofico di Berlusconi, diremmo che ha venature calviniste. Il successo è un segno della grazia, proprio secondo Max Weber. Ma quando dice "mandiamo a lavorare D’Alema", sbaglia, perché proprio Weber ha parlato di "Politik als Beruf". La politica è professione e vocazione». Aggiungiamo che lei continua a professarsi provocatoriamente di sinistra. «Sono un cattolico liberale, e oggi dove possono situarsi i cattolici liberali, se non a sinistra? Nei retroscena vengo indicato come il presidente del partito trasversale dalemiano, e si capisce: immagini che confusione se vinceva l’Ulivo. Non ci sarebbe il chiarimento, magari caotico, che si è avviato. L’Ulivo, l’Ulivo. Quale Ulivo? Rutelli è una figura che tiene il posto a Prodi, se si guarda la realtà». Ma non è per le ispirazioni ideali che i suoi rapporti con la destra sono tesi. «Sui miei amici, i Quattro gatti, si sono vendicati. Ma ciò che non ho tollerato è stato il comizio di Berlusconi a Gallipoli, con il giudizio sprezzante sull’operazione che portò al governo D’Alema. Lo ha chiamato un mercimonio. Mi ha indignato moralmente perché veniva da un uomo che ha fondato un partito su una struttura commerciale: e parla di mercimonio. Mi ha inquietato politicamente perché non ha percepito che l’operazione D’Alema era tutta politica: il segnale della fine della guerra fredda interna durata 50 anni. E lui ha riaperto le ferite». Sono le scivolate del personalismo. «In un partito che non è un partito. Sono contento che Claudio Scajola vada agli Interni, perché è un giovane vecchio dc, con tutte le finezze di una scuola. Ma ad un tempo mi spiace perché poteva trasformare Forza Italia in un partito vero. Berlusconi si inquieterà, ma io penso che rispetto al personalismo di Forza Italia era più democratico il Pci». Comprensibile, l’inquietudine. «Devo dire che però alcuni antidoti stanno agendo: ci sono isole di auto-organizzazione politica che stanno prendendo la forma di quasi-correnti. Ci sono ministri di qualità che possono fare da argine al governo personale, che non nomino per non metterli nei guai». Tutto questo la porta a una valutazione positiva sul governo? «Temevo peggio, che prevalesse l’aziendalismo. Questo sarà il primo governo italiano di destra democratica e bisognerà aiutarlo a essere tale, affinché l’aggettivo qualifichi il sostantivo». E che dire della "formazione"? Non c’è solo Ruggiero, ci sono anche i Gasparri. «Discreto politico, che piace molto a Berlusconi perché è immune dalla tabe intellettuale». Letizia Moratti all’istruzione. Con un’idea aziendale della scuola? «Conto molto sulla grande e duttile intelligenza della signora Moratti». Umberto Bossi alle riforme istituzionali. «Non ho mai gridato al lupo verso Bossi, anche se il federalismo è una moda o una furbizia basata sull’ignoranza di ciò che è il federalismo vero, che per un paese come l’Italia sarebbe una iattura». Bilancio finale: un governo da seguire passo passo. Lo vota o no? «Escludo di votare a favore. Non posso. Sono incerto fra l’astensione e il voto contrario. Nella coloritura comportamentale della mia decisione conta l’accusa bruciante di mercimonio, con cui Berlusconi senza motivi politici ha macchiato un rapporto personale. Nel giudizio politico a freddo conta invece la mia storia, la mia intera personalità politica. No, non posso votarlo».

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