Si fa presto a dire che l’India è un universo: poi bisogna vederla. E le cinque puntate di "Taccuino indiano", la serie di documentari realizzata da Francesco Conversano e Nene Grignaffini (Raitre, dal 21 settembre ogni giovedì alle 23.30) sembrano fatte apposta per illustrare la frase di Arundhati Roy che appare come exergo della prima puntata: «L’India vive simultaneamente in secoli differenti». Non ci potrebbe essere sintesi migliore. C’è un contrasto fortissimo, da un lato, fra le donne che lavorano nelle saline, rischiando la cecità, gli "shipbreaker" che si ammazzano di fatica facendo letteralmente a pezzi navi in disarmo che arrivano da tutto il mondo, i contadini poverissimi del subcontinente rurale, e dall’altro la vita nelle città, in cui sull’ondata tecnologica si è sviluppata una borghesia che sembra in grado di cambiare in profondità la vita dell’India. Quasi in ogni fotogramma si avverte la profonda commistione di antico e di moderno. Le donne che lavorano per mezzo dollaro al giorno, i 20 mila conducenti di risciò messi fuori legge dal governo comunista e modernizzatore di Calcutta, le cattedrali modernissime di Bangalore, dove si è sviluppato un settore tecnologico che attrae gli studenti migliori e produce un benessere inedito. Ma forse l’aspetto più curioso della prima puntata è la parte dedicata ai call center, in cui le multinazionali americane, canadesi e inglesi hanno delocalizzato il servizio ai clienti. Perché con il lavoro nei servizi comincia a prendere forma un’economia di consumi che si innesta sulla tradizione indiana, creando un ibrido straordinario. La bellezza delle immagini di "Taccuino indiano" non consiste soltanto nella crudezza della vita antica, ancora intessuta di miseria, pregiudizi, esclusioni, fatalismo, unita all’effetto straniante di una natura che spesso sembra rimasta a qualche millennio fa; ciò che colpisce e continua a sorprendere, inquadratura dopo inquadratura, è il modo in cui l’India antica e l’India moderna si contaminano. Sarebbe consolatoria la tesi per cui la globalizzazione non distrugge le culture bensì le arricchisce. Ma "Taccuino indiano" è esemplare perché registra le immagini e le parole dell’India nuova e antichissima senza tesi precostituite, offrendo la forza di uno sguardo che si sofferma sulle cose e sulle persone senza giudicare: con una intenzione di conoscenza oggettiva che non di rado lascia stupefatti.
28/09/2006