Fra le molte dichiarazioni ovvie, o almeno facilmente prevedibili, contenute nelle 15 pagine della "Nota dottrinale" emanata la settimana scorsa dal cardinale Joseph Ratzinger, se ne trova almeno una che proprio ovvia non è. E che anzi potrebbe avere conseguenze profonde sia sull’atteggiamento della Chiesa verso la politica sia, simmetricamente, sul modo in cui i cattolici si schierano politicamente. È inutile ricordare che la Chiesa fa il suo mestiere quando conferma le proprie posizioni su materie come la bioetica, la difesa della vita umana, la salvaguardia della famiglia «fondata sul matrimonio tra persone di sesso diverso». A molti potrà apparire anacronistico il rifiuto delle leggi sull’aborto e soprattutto sul divorzio: ma d’altra parte sarebbe grottesco chiedere al cardinale Ratzinger, che pure è un uomo ricco di spirito e ironia, di rinunciare con un couplet intellettuale ai cardini del magistero cattolico. Ciò che invece colpisce, nel documento del Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, è una sottolineatura pesante sul ruolo delle organizzazioni cattoliche. Ratzinger infatti sanziona come «non compatibile con l’appartenenza ad associazioni cattoliche» esprimere «orientamenti a sostegno di forze politiche che su questioni etiche fondamentali hanno posizioni contrarie all’insegnamento della Chiesa», riferendosi in particolare alle strutture associative, ma anche a periodici e riviste che «hanno orientato i loro lettori in occasione di scelte politiche in maniera ambigua e incoerente». Sembra di risentire sullo sfondo l’eco di un "non expedit". Vale a dire che se si dogmatizzano i nodi etici, del rapporto fra credenti e politica, ai cattolici coerenti non è lasciata nessuna autonomia di giudizio e conseguentemente di azione. Per la situazione italiana le conseguenze possono essere dirompenti, e non solo per il centro-sinistra. È vero infatti che i cattolici nell’Ulivo si trovano spesso a misurare in modo conflittuale le proprie convinzioni con quei settori laici che sulle materie più controverse della bioetica e della libertà individuale sostengono posizioni non compatibili con il magistero ecclesiastico. Ma finora, anche sulla scorta di documenti conciliari come la "Pacem in terris" (la prima enciclica che distingueva fra "errore" ed "errante", offrendo le premesse per il dialogo), i cattolici avevano potuto appellarsi alla possibilità di ridurre il danno di leggi non accettabili dal precetto religioso. Oggi invece Ratzinger, attestando che la democrazia implica «una retta concezione della persona», stabilisce che su questo punto non è possibile alcun compromesso. Che la "Nota" dell’ex Sant’Uffizio sia rivolta al mondo intero, e non solo all’Italia, non cambia il suo significato e le sue implicazioni. Semmai li dilata a dismisura. Lo ha colto con nettezza Massimo Cacciari, che ha immediatamente segnalato come il richiamo del cardinale Ratzinger contro il relativismo etico metta in secondo piano il potere di un «pensiero unico dominante» fondato sull’individualismo, la fede cieca nella tecnica, la dittatura dell’economia. (Per restare al cortile domestico, e a voler essere radicali, l’ossequio formale di Umberto Bossi sulla famiglia tradizionale, o i progetti berlusconiani e morattiani a favore della scuola privata, rappresentano solo un maquillage cattolicizzante rispetto a una concezione largamente secolarizzata). E allora, a che cosa ci si può preparare, in base ai dettami del cardinale Ratzinger? A una nuova separatezza dei cattolici rispetto alla partecipazione politica? A una specie di nuovo patto Gentiloni, attraverso il quale il cattolicesimo agirebbe sostanzialmente per delega, restando ai margini della vita pubblica, e limitandosi a contrattare di volta in volta il proprio appoggio a un partito o a uno schieramento? Considerate alla lettera, le parole di Ratzinger implicano solo due possibilità: la presa di distanza dei cattolici dalla politica, per un verso; oppure la ricostituzione di una presenza unitaria di tipo confessionale. In entrambi i casi, la soluzione ha tutto l’aspetto di un passo a ritroso.
30/01/2003