L’ultimo Berlusconi sembrerebbe tornato fra gli umani, anche secondo il sondaggio pubblicato in queste pagine. Dov’è finito il leader esplosivo, l’inventore sulfureo, il gaffeur fragoroso ma anche l’uomo immagine strepitoso? Andato, illanguidito, figura fra i dispersi, se è vero che la maggioranza del campione giudica il suo operato "né positivo né negativo". Cioè come se il "fasso tutto mi" di Arcore, il tremendo lavoratore notturno, l’indefesso presidente operaio, fosse passato sulla realtà italiana con la levità di un refolo di vento, di una brezza leggera, di un sospiro insignificante, che magari scompiglia le chiome (non la sua, opportunamente asfaltata) ma non cambia la fisionomia degli italiani. Scoraggiante, no? Mettiamoci nei panni dell’Unto, del vincitore totale, di colui che non teme rivali, che pensa seriamente di essere il numero uno al mondo («E Bill Gates?», gli chiedono; e lui: «Già, c’è Bill Gates… Allora sono il numero uno dopo Bill Gates»), e pensiamo all’impressione che gli fa il convincimento dei suoi concittadini secondo cui tutto il suo daffare è risultato irrilevante. E aggiungiamo anche l’altro dato prevalente nell’indagine, e cioè che l’Italia sta peggio rispetto a cinque anni fa. La somma di queste due risposte dice che Re Silvio è stato insieme inutile e dannoso. Di fronte a queste risposte, sembrano pezzi fuori mercato e fuori catalogo, roba d’antiquariato, gli artifici del repertorio berlusconiano, aggiornato al 2006. Dodici anni fa, nel governo del decreto salvaladri (e della svalutazione sbrigliata, e conseguentemente del tasso d’interesse pericolosamente in crescita), il refrain canticchiava: non ci lasciano lavorare; c’è chi rema contro. Adesso invece il ritornello è diventato: il governo non riesce a comunicare i suoi grandi risultati. Conta poco che questa canzone triste sia uguale a quella che cantava il centrosinistra negli ultimi mesi dell’esecutivo guidato da Giuliano Amato, e si è poi visto com’è andata a finire. L’importante è che Berlusconi crede davvero a questa favola, cioè che il paese sta benissimo, che per merito del governo tutti hanno tre telefonini e i ristoranti sono pieni, insomma che tutto va ben madama la marchesa, se non fosse che televisioni e giornali, in mano alla sinistra, ingannano gli italiani. E quindi il fiducioso Berlusconi si dedicherà a convincerci che le cattive percezioni dipendono dall’euro e dalla "lira svenduta da Prodi" (ma la durissima trattativa con i tedeschi sul cambio l’aveva condotta Carlo Azeglio Ciampi, o no?) e che il governo ha prodotto una formidabile quantità di leggi e di riforme. Qui ci vuole una pausa, perché non conviene replicare lo sketch di Diego Della Valle a "Porta a porta", ossia «Silvio, piantala con i foglietti e i disegnini, gli italiani non sono bambini». Le scarpe nel piatto si possono mettere una volta, e ci vuole una star come Della Valle per un exploit del genere: i cittadini qualunque potranno semmai obiettare al trionfalismo numerico del capo del governo che governare non equivale a produrre leggi; che le leggi o le riforme non sono buone di per sé; che leggi e riforme vanno applicate, attuate, sorvegliate. Tra le riforme varate, la cosiddetta Legge Biagi ha liberalizzato il mercato del lavoro senza uno sfondo minimo di welfare a sostegno del lavoro precarizzato. La riforma della scuola, nonostante le rassicurazioni di Letizia Moratti, è un prodotto classista e regressivo. La riforma costituzionale è un attentato all’uguaglianza dei cittadini, dal momento che è stata approvata unilateralmente, in base a una maggioranza parlamentare che non è una maggioranza nel paese: per cui oggi ci sono cittadini meno rappresentati costituzionalmente di altri. La riforma elettorale in senso proporzionale è tecnicamente, secondo uno specialista come Amato, "una baggianata". E così via. Governare non è legificare. Le leggi della Cdl rischiano tutte di fare la fine della patente a punti, accolta con favore e annegata nel lassismo (basta un viaggio in autostrada per valutare i comportamenti degli automobilisti e l’efficacia dei controlli). Ma il bilancio più serio dell’attività del governo Berlusconi non va stilato in base alle sue invenzioni mediatiche come il Contratto con gli italiani. La sintesi della legislatura di centrodestra è nella dannata precisione della formula crescita zero: ci hanno messo cinque anni, ma ce l’hanno fatta. Zero, o zero virgola qualcosa, ma sottolineando zero. Un prodigio ottenuto grazie alla collaborazione di Giulio Tremonti, che a Berlusconi ha tenuto il sacco con i Dpef che prevedevano una crescita dal ritmo straordinario, e con la partecipazione entusiastica del ras di Bankitalia, Antonio Fazio, che aveva garantito sulla possibilità del miracolo "dietro l’angolo". Giustificata, la crescita zero, prima con l’11 settembre e la sindrome del crollo dell’Occidente dopo l’attacco alle Twin Towers e al Pentagono, fino a quando il solito inventivo Tremonti non cambiò idea, togliendo un pilastro alla teoria giustificazionista della destra. Ma oltre alla crescita mancata, e comunque costantemente più bassa della media di Eurolandia, riesce difficile spiegare razionalmente la parabola di un governo "delle libertà", che aveva esordito con i tipici argomenti della "supply side economics", taglio delle tasse in primo luogo, ed è finito con lo sfondamento della spesa pubblica, come il più allegramente liberal dei governi di sinistra. E ancora sarebbe interessante spiegare come sia stato possibile che nonostante tutti i condoni, i concordati, il ciarpame fiscale introdotto con le una tantum, le cartolarizzazioni, le vendite e le svendite, i gravami parafiscali introdotti sulle banche e le assicurazioni e da queste immediatamente scaricate sui clienti, insomma nonostante tutta la fantasia di Tremonti e il galleggiamento di Domenico Siniscalco, sempre in attesa della crescita che doveva arrivare e non arrivava mai, ci siamo giocati quattro punti e mezzo di avanzo primario: cioè soldi buoni, frutto di un risanamento che era stato incisivo, al tempo dei pessimi svenditori Prodi e Ciampi. Oppure la prestazione del Cavaliere si può misurare sulla qualità del metodo con cui ha gestito la sua compagine politica. E qui bisogna concedergli le attenuanti, come d’uso, dato che sarebbe stato improbo per chicchessia trovare mediazioni ragionevoli fra i partiti e le culture della Cdl. Berlusconi ha dovuto giostrare fra alleati dimostratisi sempre pronti a votare leggi canaglia come quella sul falso in bilancio, ultima di una poderosa serie di riforme strumentali della giustizia, e poi leggi ad personam, riforme carogna come quella della Costituzione, riforme burla come quella sul conflitto d’interessi, riforme truffa come la legge Gasparri sul sistema televisivo; ma via via incattiviti, gli alleati, nel farsi pagare "cash" la sua leadership (Pier Ferdinando Casini con la proporzionale, Gianfranco Fini con una crescita vistosa di ruolo, non esattamente speculare alla crescita delle sue qualità culturali e politiche). Eppure non è nel carattere di Berlusconi mollare l’osso. È vero che l’ultima stagione è stata davvero "horribilis", con sconfitte elettorali in casa e sconfitte sportive in trasferta (ah, il disastro del Milan a Istambul, nella finale di Champion’s League con il Liverpool!). Ma a quasi settant’anni, sembra ancora in grado di innescare il conflitto politico, e non perché, come ritiene il campione del nostro sondaggio, "inventerà" qualcosa, tirerà fuori una trovata capace di rovesciare la tendenza. Può contare ancora su quasi un terzo dell’elettorato indeciso, perplesso, propenso per ora ad astenersi: cercherà di mobilitarlo. Per ora gli hanno sbagliato i cartelloni, e li ha sostituiti. Quelli nuovi sono peggio dei vecchi, ma Berlusconi non conosce requie. Ha già aperto l’offensiva mediatica, punterà di nuovo a dipingere l’Unione come una reincarnazione del comunismo, "miseria, terrore e morte". Vecchiume da guitti, ma ha sempre funzionato, forse funzionerà ancora. Ma ha di riserva anche un’arma "fine-di-mondo", che non dipende da lui ma che può facilmente assecondare, favorire, promuovere: il suicidio del centrosinistra, in seguito a Bankopoli, sullo sfondo dello spappolamento del sistema politico dovuto al sistema proporzionale. Ma in questo caso la salvezza di Berlusconi equivarrebbe allo sfaldamento del paese: può augurarselo soltanto chi possiede un piccolo eden per il buen retiro. Possibilmente offshore.
12/01/2006