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C’è un’altra Chicago

12/05/2005

Fra le programmazioni più sofisticate, merita uno sguardo il ciclo di Cultnetwork "Chicago, il seme dell’impero", otto puntate il lunedì alle 22 (canale 142 del bouquet Sky). È un’indagine sull’America condotta da Francesco Bonami, ex direttore della Biennale di Venezia (ora al Museo d’arte contemporanea di Chicago), ideata e realizzata dallo stesso Bonami con Stefano Pistolini. È un’America tutt’altro che ovvia, quella che viene fuori dalle interviste e dagli incontri. Nella puntata del 25 aprile, il corpo fondamentale del programma era costituito da un ritratto di Barack Obama, la stella nera democratica, l’unico senatore afroamericano, «un Denzel Washington con la determinazione di Martin Luther King» secondo la definizione di Bonami. In poche battute veniva fuori un "carattere" politico: un tanto di populismo, qualche residuo di pulsione utopica, il realismo a cui la politica costringe i leader, nonché una fisicità controllatissima e già "presidential". A fare da contraltare a Obama c’era poi, oltre al più noto scrittore di legal thriller, Scott Turow, anche una brillante mini-indagine nel mondo accademico, dedicata agli influssi di Leo Strauss, il filosofo eletto a paradigma dai neoconservatori. La qualità degli autori è visibile nel loro modo di far parlare quell’America che non è soltanto New York o Los Angeles, e neppure le autostrade e le praterie, lasciando spazio all’argomentazione, cioè senza comprimerla nei tempi sincopati della tv. Con il risultato di comunicare un senso di ricchezza e di complessità, perfino quando si incontra un docente di storia delle religioni che sembra catapultato nell’età contemporanea dall’epoca del "flower power". Mentre le puntate successive si annunciano dedicate al tentativo di intercettare indizi culturali, storie, parole, fisionomie antropiche, sembra promettente l’intenzione di "scrivere" un saggio televisivo sugli Stati Uniti, sulle loro società, sulle loro culture. Un saggio al plurale concentrato in una sola città. Utile quindi la passione di Pistolini per i dettagli narrativi, e la capacità di Bonami di individuare nelle "stories" urbane un senso coerente, facendo parlare le persone, gli oggetti e i ritmi stessi di una città, esercizio di sintesi di due fra le molte Americhe d’oggi.

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