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Ciampi unisce quel che il bipolarismo divide

26/08/2004

La popolarità del presidente della Repubblica sta raggiungendo il calor bianco. Nelle sue vacanze in Val Gardena l’entusiasmo dei villeggianti italiani era alle stelle, ma anche gli scalatori tirolesi reduci dalla conquista del K2, durante i festeggiamenti ufficiali per l’impresa, non mancavano di salutare con affetto Carlo Azeglio Ciampi. «È stato emozionante scalare l’ottomila?», chiedeva il conduttore della serata. «Un’emozione simile a quella che si prova quando arriva il presidente della Repubblica», rispondeva con ottimo accento tedesco, e con una paraculata formidabile, il domatore di cime. Ad Atene siamo arrivati più o meno al delirio, specialmente dopo che Paolo Bettini ha vinto l’oro nella prova di ciclismo su strada e Aldo Montano ha trionfato nella sciabola. Due toscani laureati con la corona d’ulivo, e il secondo addirittura di Livorno, patria di Ciampi. Tre indizi fanno una prova: i giornali, i telecronisti, i coloristi che seguono le Olimpiadi hanno fatto i conti, concludendo all’unanimità che Carlo Azeglio porta fortuna. Tanto più che poche ore dopo, non appena la Ferrari ha vinto un nuovo titolo mondiale costruttori e ha messo matematicamente le mani sul campionato piloti, la telefonata di congratulazioni del Quirinale al cellulare al presidente della Ferrari è arrivata puntuale, e Luca Cordero di Montezemolo è stato felicissimo di sposare la tesi di Ciampi, sostenendo che l’ulteriore trionfo in Formula Uno era una vittoria della tecnologia italiana, insomma, un successo fabbricato e realizzato in Italia. Perfetto, in alto i cuori e i vessilli. Resta da chiedersi qual è il segreto della popolarità dell’ex governatore della Banca d’Italia, l’ex presidente del Consiglio che nel 1993 inventò la concertazione (ne rimane traccia in un piccolo libro pubblicato dal Mulino, "Un metodo per governare"), l’ex ministro del Tesoro con Romano Prodi a Palazzo Chigi, partner in una coppia che riuscì ad acchiappare la maggior parte dei parametri di Maastricht, risanando seriamente i conti pubblici. Un presidente di cultura azionista, cattolico senza bigotterie, non amatissimo anche se formalmente rispettato dai berluscones, qualche volta tollerato a denti stretti, come quando respinse al mittente la prima obbrobriosa versione della legge Gasparri sul sistema televisivo, o sull’epoca della "moral suasion" che sterilizzò i punti più stridenti costituzionalmente della legge Cirami e contribuì di fatto a svuotarla. Il fatto è che il livornese Ciampi non gode di una popolarità politica, bensì di un consenso pre- politico. È riuscito a trasmettere l’idea che fuori dalle stanze della politica e dell’informazione, all’esterno del circuito intossicato dal cicaleccio nei corridoi del Palazzo, il paese, cioè l’Italia profonda, è molto meno diviso di quanto non venga accreditato dai giornali e rappresentato dagli scontri fra i partiti. Che questo sia vero fino in fondo è semmai argomento di analisi e riflessione, non una certezza. Ma il capo dello Stato ha puntato larga parte del suo mandato sul tentativo di accreditare i simboli di questa unità nazionale, dal Tricolore all’inno di Mameli, proprio allo scopo di neutralizzare il conflitto politico che in superficie porta allo scontro le due Italie di destra e di sinistra. A giudicare dai risultati, Ciampi ha ottenuto il suo obiettivo. Il che la dice lunga sull’equilibrio istituzionale che gli italiani gli riconoscono, sulla credibilità della sua figura, sulla fiducia che suscita, elevandosi sopra le onde del politicume quotidiano. Ma forse il successo personale dell’uomo del Quirinale identifica anche una stanchezza ormai radicata per la guerra tra fronti politici contrapposti. La popolarità di Ciampi è anche, simmetricamente, un esito della stanchezza del bipolarismo. O almeno del bipolarismo all’italiana dominato dall’adorazione berlusconiana di Sandro Bondi e della ripetitività antiberlusconiana del centrosinistra. In attesa delle nuove risse di settembre, della battaglia mortale sulla legge finanziaria, di una Costituzione che rischia di essere cambiata a colpi di maggioranza, evidentemente fa bene pensare che sul Colle c’è un uomo che sa dire sì e no, con semplicità, facendo sentire talvolta meno sola una società che era stata galvanizzata dai sogni e ora si sente percossa dalla realtà.

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