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Compagno cuore

16/05/2002

L’italiano moderno e di sinistra Michele Serra se ne sta sui colli sopra Bologna, nella campagna di nuovo selvatica dove è tornato il lupo, e sembra leggermente ansioso per l’uscita del suo ultimo libro, che si chiama "Cerimonie" (Feltrinelli lo manda in libreria la settimana prossima), una specie di nuovo esordio narrativo dopo l’ultimo romanzo, "Il ragazzo mucca". Dodici racconti accomunati solo da un’ossessione lieve riassunta nella prima frase del libro: «Saletti voleva pregare, ma non credeva in dio». Saletti sarebbe un pensionato comunista che di fronte al «rimescolo» del mondo moderno «decise di promuovere un gruppo di preghiera». Preghiera mondana, laica, il Nuovo Rito Ateo Moderno Mondiale. Con la parola "dio" scritta sempre con la minuscola: «Perché io, Michele Serra Errante, un nome che è un ossimoro, provo profonda commozione per le cerimonie, ma non credo in dio. Sento una specie di invidia del rito, anche se ho il terrore del ridicolo, o del New Age». Tavolino sul prato davanti alla casa, due cani che giocano (i due bambini, Teresa e Giovanni, a scuola; la moglie in città). Dicevamo? I riti, i riti, ma quali? Di che tipo? E infatti i racconti seguono generi variegati: c’è la narrazione metafisica, la satira di costume, la fiction pura, lo sprofondamento nella natura, l’autobiografia (con cedimenti madornali, ad esempio mentre tenta di torcere il collo a una gallina: «Me merda! Ohi me merda, me inutile coso di mezzo, mezza misura di ogni desiderio intero, di ogni impresa tentabile»; oppure con il ricordo dell’infanzia, ravvivato dalla macchina delle vacanze, la Seicento). «Fossimo negli anni Settanta, quando nel rock si facevano i "concept album", potrei dire che ho provato a scrivere un "concept book". O un libro-esorcismo, a metà fra il disinganno rispetto alle fedi e l’invidia per chi la fede ce l’ha». L’esorcismo investe anche l’italianità, e viene formulato in un racconto di vita comunista ("Appoggiavo il cappotto sopra un mucchio di altri cappotti"): «Io cominciai a sospettare molto presto di essere un italiano: dalla prontezza della battuta, dalla facilità con la quale familiarizzavo con le situazioni più disparate senza lasciarmene intaccare, dalla propensione a sciogliere tutti i nodi, personali e sociali, nel dolce solvente della mia adattabilità… Capii di essere troppo italiano per non desiderare di porvi rimedio». Il rimedio era l’iconografia delle sezioni di provincia, «la grossa faccia contadina di Di Vittorio, gli occhi tristi e sensuali di Berlinguer, il pizzo e gli zigomi di Lenin, gli occhiali severi di Togliatti, l’appeal cinematografico del Che, la fiammeggiante criniera di Marx»? «Il rimedio era la ricerca di senso, anche per reagire a una solitudine di fondo». Eppure in quello stesso racconto di notti invernali, di bacheche e di manifestini, Serra dice che il movimento comunista era un «gigantesco vaniloquio mondiale», in cui «casalinghe, studenti, insegnanti, coppie di fidanzati si alzavano a turno per parlare o dei destini dell’umanità o della grave situazione della nettezza urbana». In più, spesso sostiene di essere di sinistra «ormai per puro affetto». Siamo alla piena disillusione? «Al disinganno, certo, ma non al cinismo. Il cinismo, condizione fredda, è roba da intellettuali; mentre il disinganno è un sentimento caldo, o almeno tiepido, roba operaia e di popolo». In sostanza, lo scrittore italiano di sinistra oggi è sempre lì a elaborare il lutto, di fronte a un "popolo" che non sa bene in che cosa credere: «Resto convinto che uno scrittore deve fare domande, non dare risposte. Oltretutto, negli ultimi tempi ho avuto una certa dimestichezza con la morte, mio padre se n’è andato neanche tre mesi fa, e quindi l’idea del lutto è presente. C’è un racconto, nel libro, in cui un funerale si trasforma in un lavoro di gruppo, per via della lastra di marmo più grande dell’imboccatura del loculo. Ecco, passare dalla metafisica al cemento e agli attrezzi, dal senso della morte al ritorno incongruo alla vita è un rito che vale la pena di celebrare». Limitato, come programma politico. Perché i suoi lettori, i vecchi lettori di "Cuore" e i nuovi del post-girotondo, si rivolgono a lui proprio per avere risposte. Altrimenti a che servono gli opinionisti? «È vero, ricevo moltissime email. Ma mi dico che la scrittura è largamente preterintenzionale. Certo, mi piacerebbe scrivere come il Vonnegut di "Mattatoio 5" e avere la sua fantasia, che non ho. In compenso non mi sono mai dato delle limitazioni di genere. Ho scritto per il teatro, per i giornali, e poi poesia, narrativa, fino ai dialoghi tv per Asia Argento e Adriano Celentano. Mi sono convinto che, al di là di ogni categoria, ha ragione chi ha detto che il comico è solo il tragico visto di spalle». Un piatto di tagliatelle, due fette di lardo («vero che è migliore di quello di Colonnata, meno aggressivo?»), un bicchiere di dolcetto. Non è che ha voglia di abdicare, Serra? «Abdicare dalla sinistra no, anche se tutto è cambiato. Altrimenti faremmo come i personaggi di un altro racconto del libro, Manuel e Stefy, due disintegrati dal consumismo, supergippone, gadget tecnologici, culto del look. Diciamo che provo a esercitare l’intelligenza rispetto a un universo in cui il linguaggio è ammutolito e non comunica più. Quando muore un linguaggio non è che ne fai subito un altro». Ancora un po’ e riconosceremo che è morta l’ideologia e il funerale è in corso. «Già, ma l’ideologia era come il latino, aiutava a essere "parlanti", dava la parola a chi altrimenti non l’avrebbe mai avuta. E così qualsiasi forma di ritualità mi attrae perché è codice, ordine, stile, quello stile che abbiamo perduto». Si potrebbe dire che molti hanno continuato a riconoscersi nella ritualità comunista quando restava solo la liturgia. Bicchiere di dolcetto. «Forse il comunismo finisce con Stalin e noi abbiamo partecipato all’amministrazione di un fallimento. Però era rimasto il linguaggio, parlavano quelli che non era previsto che parlassero». E quindi cosa rimane, "what is left"? «Uno rimane legato alla propria emotività, se si vuole a De André e a De Gregori. Ma più che altro, a una comunità: è seccante dirlo, però a me le persone piacciono». Per questo si inventano le cerimonie, per stare insieme? Anche la famiglia in collina è un modo per recuperare un rito? «La famiglia è una stabilità possibile. Alla fine io sono un uomo d’ordine. E anche il comunismo era un tentativo di mettere ordine al mondo». Tentativo fallito, e al termine della storia sbucano fuori i Le Pen. «Forse è necessario uno choc, anche se gli choc sono pericolosi. Si dice uffa che noia, ma dopo lo choc si dice che si stava meglio quando ci si annoiava. Vecchia storia. Vecchia cerimonia. Appunto».

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