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Credetemi, ho vinto

31/05/2001

Temevo lo sfondamento della Casa delle libertà in Emilia Romagna. Poteva avvenire. Invece rivendico un successo. Dico di più: un successo straordinario, tenuto conto anche del contesto in cui si è verificato e della tendenza che si è delineata… Non si smentisce Mauro Zani, segretario della federazione ds emiliana. Era tornato a Bologna dopo "l’incidente", come lo chiama lui, che aveva portato Giorgio Guazzaloca a espugnare la cittadella rossa. Quando il gioco si fa duro, con quel che segue. Ha condotto la battaglia elettorale con la convinzione che la partita era decisiva, per i Ds come per l’Ulivo. Preso atto del risultato nazionale, ha spedito a Roma un secco messaggio dei suoi, contestando l’assenteismo dei vertici diessini. Dal Botteghino gli hanno risposto piccati: stai zitto tu, che hai perso il 7 per cento. In Emilia il rosso langue. I giornali scrivono che è scomparsa una quota di diessini grande come Modena. Il partito è al 28,8 per cento. Ci sono assessori che ipotizzano lo scioglimento dei Ds e la fusione a caldo nell’Ulivo. E lei parla di un successo straordinario. «Ci eravamo posti l’obiettivo di limitare le perdite solo ai collegi di Piacenza, dove l’Ulivo era sotto di 20-25 punti, e dove pure siamo arrivati a un’incollatura. Abbiamo preso il 100 per 100 di tutto il resto. C’erano sette seggi a forte rischio e due incerti. A Fidenza Pierluigi Bersani partiva da meno 10 e ha vinto. Le situazioni delicate erano a Parma e a Ferrara: abbiamo fatto un lavoro capillare, casa per casa. Sapevo benissimo che se perdevo quei sette collegi non avevo davanti altro che le dimissioni». Con il risultato che la coalizione vince, la Margherita prospera e i Ds piangono. «È sbagliato considerare i risultati solo in chiave competitiva all’interno della coalizione. Non c’è mai stata una frizione con gli alleati. Io rivendico la funzione essenziale dei Ds nella scelta e nella costruzione delle candidature, e nello svolgimento della campagna elettorale». Lo ha detto lei: avete fatto i donatori di sangue. Il partito Avis. «Avevo l’obbligo di agire come punto di riferimento della coalizione. Quindi le decisioni le abbiamo prese accollandoci tutte le responsabilità. Abbiamo scelto tutti i collegi peggiori e ci abbiamo messo i nostri, i diessini. Non per gusto del martirio, ma per dovere politico: siamo il maggiore partito dell’alleanza e quindi dovevamo comportarci di conseguenza. C’era un altro candidato che poteva prendere Fidenza? No, c’era solo Bersani, e Bersani è andato nel collegio a battersi e a vincere. La logica delle coalizioni implica questi comportamenti, e ci vuole coerenza anche se si pagano prezzi». Prezzi alti. Perché tutto l’impegno dei Ds a che cosa è servito, al successo della Margherita? «No. La Margherita ha fatto un balzo in avanti negli ultimi quattro-cinque giorni prima del voto. Il traino di Rutelli è stato molto forte, con un finale di grande impatto mediatico». Sa che cosa dicono gli scettici? Che una parte di vostri tradizionali elettori, diciamo i meno informati, hanno votato Rutelli credendo di votare direttamente per voi. «Una componente volatile nella Margherita ci può essere. Ma ciò che conta in politica è guardare la realtà: adesso nella coalizione ci sono due gambe. Io ho sempre sostenuto l’idea delle due gambe, anche quando Martinazzoli diceva che era una visione ortopedica. Certo, l’analisi del voto alla Margherita va fatta, e io resto scettico su ciò che dice Castagnetti, secondo il quale la lista di Rutelli avrebbe intercettato i voti dei ceti medi illuminati. Non è l’ora della sociologia». In sostanza lei si tira fuori dalla diatriba sul partito socialdemocratico e il partito democratico. «Bisogna evitare una doppia miopia: la prima è la miopia di chi non vuole vedere il formarsi di questa realtà a due gambe. La seconda è quella di chi non vuole capire che le identità del centro e della sinistra esistono ancora. Occorre tenerne conto, altrimenti l’Ulivo è solo un’idea platonica». L’altro dato in Emilia Romagna è la crescita di Forza Italia. Quando uno vede che a Sassuolo, malgrado la vittoria ulivista, il primo partito è Forza Italia, ha di che sbarrare gli occhi. «Il risultato di Forza Italia pone un problema serio a tutti, a noi come alla Margherita. Perché sotto la sfida dei berlusconiani è l’Ulivo nel suo insieme che deve reagire in termini di governo, e gestire l’innovazione del potere regionale». Una formula esoterica. «Significa riformulare le relazioni con i ceti e gli interessi». Cioè l’Ulivo come referente delle classi sociali che una volta erano in rapporto dialettico con il Pci. Ma intanto a sinistra c’è chi sostiene, come Gianfranco Pasquino, che i Ds sono un partito «leggerissimo, invisibile in campagna elettorale; e anacronistico con le sue federazioni anni Cinquanta, mentre la battaglia si fa nei collegi». «Storie. Se c’è un partito che ha capito le modalità della competizione nei collegi è proprio il nostro. C’è una rete organizzativa con un responsabile per ogni collegio. I candidati erano buoni, ma sono stati i Ds a fare la campagna. Diessini giovani, attenti alla comunicazione, capaci di insegnare ai candidati come muoversi. Anacronistica è l’idea di un partito che si riunirebbe nelle sezioni per lunghe discussioni fumose». Occorreva impegnarsi di più per un accordo con Rifondazione? «Io stesso avevo proposto in un dibattito pubblico a Bertinotti: non vuoi l’accordo politico? Ti propongo un accordo parlamentare: tu dici quali leggi vuoi e io discuto. Abbiamo fatto il necessario per non perdere Rifondazione? No, non lo abbiamo fatto, anche se la responsabilità di Bertinotti nella sconfitta è eccezionale. Forse nel momento in cui occorreva mettere le carte in tavola con Rifondazione la leadership nell’Ulivo non era ancora abbastanza solida. Ma ci voleva più determinazione». Aleggia sempre il timore che gli accordi con Bertinotti mettano in fuga l’elettorato centrista. «È un’idea sbagliata proprio in chiave di logica bipolare, se si vuole giocare per vincere. Un pregiudizio logoro: e con i pregiudizi non si fa politica».

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