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Cuore di Petra di Rita Cirio

25/01/2007

Il sentimento – e persino la sua deriva più ovvia e spudorata, il sentimentalismo – può essere arma politica e destabilizzante di un ordine sociale che non lo contempla. Per risolvere il suo complesso edipico nei confronti di papà Bertolt Brecht, Rainer Werner Fassbinder scelse di rifondare il teatro e il cinema politico con una dose consistente di sentimenti esibiti "hard core" e scelse come punto di riferimento alternativo al teatro epico il mélo dei film hollywoodiani anni Cinquanta di Douglas Sirk, l’autore di "Magnifica ossessione", "Lo specchio della vita", "Il trapezio della vita", "Come le foglie al vento". "Le lacrime amare di Petra von Kant", nato per il teatro e poi diventato un film, è forse l’esempio più rilevante di questa poetica: la vicenda di una stilista di successo che s’innamora perdutamente e fino all’autodistruzione di una ragazza, Karin, ennesima variante della Albertine proustiana, oggetto indegno, ma tant’è, di un grande sentimento amoroso. «Nella tragedia», teorizzava Douglas Sirk, «la vita finisce sempre e, morendo, l’eroe è sollevato dai problemi dell’esistenza. Nel melodramma l’eroe invece sopravvive in un triste lieto fine». Come parecchi registi Antonio Latella sembra non amare fino in fondo alcuni testi che mette in scena e la sua versione di "Petra von Kant", pur nella elegante confezione, sceglie di essere algida – e perfino brechtiana – invece di abbracciare e abbandonarsi al mélo, come voleva Fassbinder. Domina questa versione una sesquipedale statua iperrealista con le sembianze nude di Silvia Ajelli che interpreta Karin, un feticcio destinato a essere smontato nel finale dalle altre attrici, tra cui Laura Marinoni (Petra) che s’impegna nel mélo credendoci più del regista.

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