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Dal socialismo al network

06/04/2000

Pervasiva, irresistibile in ogni dimensione della vita contemporanea, la tecnologia ha una conseguenza ancora tutta da valutare: essere virtuali, alla Negroponte, equivale sempre più a essere reali. E non solo perché il software invade la quotidianità fino a trasformare oggetti d’uso come la lavatrice o il forno elettrico in sistemi di "e-cooking" di "net-washing", mentre il frigorifero è pronto a fare la spesa intelligente nel web. Ma perché le dotazioni tecnologiche plasmano i comportamenti, spalancando infinite possibilità di comunicazione, informazione, lavoro e intrattenimento. Appaiono già lontani i tempi in cui lo speaker repubblicano del Congresso americano, il radicale di destra Newt Gingrich, proponeva contro Bill Clinton nel "Contratto con l’America" forme vicarie di integrazione sociale, basate sulla partecipazione attraverso consultazioni via modem. Alla crisi della cittadinanza, aggredita da processi traumatici di esclusione, il neoconservatorismo d’Oltreatlantico rispondeva immaginando che perfino gli homeless potessero essere reintegrati nella comunità grazie a un computer: nella Rete, anche i dropout avrebbero riguadagnato in quanto "netizens" ciò che avevano perduto in quanto "citizens". Populismo virtualizzato, plebiscito permanente. Eppure, a pensarci bene, questa è la preistoria di Internet: perché presuppone centrali politiche strutturate, istituzioni di governo centralizzate, rapporti verticali fra politica e cittadini, mentre la logica della tecnologia contemporanea è largamente antimonopolistica e orizzontale. E difatti, nel recente vertice europeo di Lisbona, tutto lo sviluppo tecnologico è stato prospettato come un colossale e capillare strumento per intensificare la crescita economica, cioè per incrementare in modo geometrico il potenziale di ogni singolo nodo della Rete. Per molti versi la politica conosce una specie di cyber-crepuscolo: le masse si virtualizzano, e le decisioni avvengono a-narchicamente in qualsiasi punto del processo. Quelli che un tempo erano considerati i poteri forti vengono sterilizzati dai comportamenti praticabili grazie alle nuove opportunità di business: per un Renato Soru che crea Tiscali con i capitali dei fondi di investimento del Midwest, e che comunque sfugge ai santuari politico- finanziari nazionali, ci sono centinaia di migliaia di piccoli investitori che puntano sui titoli tecnologici, magari aprendo conti di trading online e pasticciando fra newsletter virtuali e boatos re-ali. Si potrebbe anche identificarla come una iperdemocrazia, quella della finanza virtuale, almeno finché la tendenza è al rialzo. Davanti allo schermo del trader fai-da-te, tutti i poteri classici, dalla Confindustria ai vecchi salotti buoni, si secolarizzano, perché più che l’alone del potere conta l’analisi tecnica o il Big Bingo sulle nuove quotate (al punto che nascono anche nuove regole, nuovi comandamenti e nuovi peccati, se è vero che un parroco di Como ha invitato i fedeli ad astenersi dalla febbre di massa per le e.Biscom, «almeno durante il periodo della Quaresima»: qualcosa di simile a un "fioretto" tecnologico-finanziario contro la corsa all’arricchimento). Gli effetti sulla politica "old" sono potenzialmente immensi, anche guardando dentro i confini nazionali. E non solo perché la libertà tecnologica è individualistica, e tende a sfuggire ai criteri di regolazione su cui da noi si è costruito l’equilibrio politico (si fa la concertazione, nella Rete?). In una prospettiva di lungo periodo, infatti, i sistemi di comunicazione sembrano favorire coloro che sanno dimostrare adattabilità, flessibilità, inventiva, creatività: e secondo alcuni, da Tommaso Padoa-Schioppa a Marco Tronchetti Provera, dopo avere fallito nella dotazione infrastrutturale pesante, l’Italia si trova di fronte alla chance insperata di poter correre alla pari, e non da "late comer" nel mondo leggero dei cellulari, dell’e-commerce, delle cablature, dei portali, del "business to business". Sotto questa luce, anche i temi più conflittuali dei rapporti fra politica ed economia risultano significativamente ridimensionati. Per esempio, mentre il nomadismo professionale fa svanire la carriera unitaria e la fedeltà aziendale, la stessa discussione sulla riduzione dell’orario di lavoro, spostata dalla "old economy" al versante postindustriale, non riguarda più soltanto la sfera delle relazioni sindacali o il rivendicazionismo fordista di Fausto Bertinotti: è piuttosto uno degli elementi che fanno da sfondo alle nuove modalità di consumo: consumi più sofisticati, compresi naturalmente il consumo di informazione, intrattenimento, conoscenza, richiedono come risorsa essenziale il tempo libero. Si alterano i parametri, franano i termini di riferimento. Al punto che viene il sospetto che la Third Way alla Blair, accusata di leggerezza postmoderna, sia alla fine la sola risposta possibile da sinistra al virtualizzarsi della società: anzi, forse il solo progetto praticabile in politica mentre l’individualismo internettiano sta trasformando il socialismo in un network, la comunità in una folla solitaria.

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