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D’Alema, tu uccidi Rutelli

22/03/2001

Per Massimo D’Alema è subito diventato «il signor Parisi». Uno che «viene da un’altra parte e lavora per distruggere la sinistra». Gli scontri personali in politica sono la norma, ma fra il capo diessino e il leader dei Democratici c’è un conflitto irriducibile. Da parte di D’Alema un’insofferenza ontologica. È l’esistenza stessa di Parisi, l’incarnazione post-prodiana, che lo fa imbizzarrire, con il suo ulivismo radicale e lo scetticismo per le abilità manovriere del Migliorino. In ultimo, con la denuncia della doppia cabina di regia nel centrosinistra e l’individuazione di Amato come interprete di un «rapporto, seppur contraddittorio e altalenante», di intesa con l’opposizione, Parisi ha sollevato il male dei mali, un problema politico. Irritante, fastidiosissimo. Perché mette allo scoperto il vero nodo del centro-sinistra. Perché straccia la retorica d’ufficio e fa emergere due visioni chiare e incompatibili. Secondo Parisi, parlare di linee strategiche differenziate dentro i Ds è una finzione. Il partito è compatto. Lo stesso Veltroni, presunto ulivista, in tutti i passaggi cruciali si è adeguato. Amato usufruisce stabilmente di un rapporto con D’Alema ed è oggettivamente ostile a formule politiche diverse da quelle di stampo socialdemocratico. Il leader dell’Asinello non si stupisce di questa sinistra-roccaforte: «Lo hanno detto e scritto. Il loro schema è la costituzione di un partito riformista a vocazione maggioritaria, che non delega a nessuno la rappresentanza politica del centro. Sarebbe quello che chiamano il modello europeo. Di qui l’accusa a me di distruggere la sinistra italiana, perché l’unica sinistra sarebbe la loro». La prima conseguenza di questo disegno è la riduzione alla subalternità dei Popolari. Ma ciò rientra nella fisiologia politica. La seconda, molto più delicata, è un’implicita congruenza con Berlusconi, nel nome di un interesse comune a fare piazza pulita dei residui centristi. Ecco allora le diplomazie più o meno segrete, le offerte ministeriali ad Amato: «Accolte senza la dovuta indignazione», sottolinea Parisi, quasi con un compiacimento per una simile mondanità bipartisan; e le porte aperte e i cellulari accesi per Gianni Letta e gli altri ambasciatori berlusconiani. «Il che comporta un atteggiamento perlomeno ambivalente verso l’appuntamento elettorale», aggiunge Parisi: «Dato che il partito socialdemocratico non si realizza in tempi brevi, la sconfitta elettorale non viene percepita come il problema più acuto. Anzi, agli occhi dei dalemiani una vittoria di Rutelli potrebbe avere il difetto di fare regredire il loro progetto». Ma allora con quali prospettive un centrosinistra schizofrenico scende in partita? E quale messaggio mandano all’elettorato, l’inciucismo? «Il professionismo dei diessini non va sottovalutato. Sono capaci di alternare fasi di intesa e fasi di scontro. Ad esempio, sul conflitto di interessi hanno recuperato a freddo il tema dell’ineleggibilità di Berlusconi, mentre la nostra posizione giungeva al massimo all’incompatibilità con la premiership». In sostanza, a giudizio di Parisi il pedale viene premuto o allentato a seconda delle circostanze. Quando Rutelli riesce a far prevalere la spinta espliticitamente competitiva e alternativa al Polo, l’Ulivo si spende per l’approvazione unilaterale della legge costituzionale sul federalismo; non appena prevale la "regressione consociativa", si concede al capo di Forza Italia la data delle elezioni e l’abbandono, per ritrovato fair play, del tema dell’ineleggibilità. Che la schizofrenia fosse già incorporata nel nuovo Ulivo era risultato evidente al momento della scelta della leader-ship. Con una sola frase («Guarderemo anche i sondaggi»), Parisi aveva affossato Amato, candidato di D’Alema. Ma la lealtà di coalizione, o anche solo l’istinto di sopravvivenza, vorrebbe che, una volta scelto il leader, l’intendenza seguisse. Mentre il sospetto dei Democratici è che i Ds, dietro gli slogan unitari, si stiano comunque preparando a gestire in proprio il risultato elettorale. È un’illusione, quella diessina, di poter "trattare" anche la vittoria della destra? «Hanno in mente due scenari», dice Parisi: «Il primo è l’opposizione dialogante. Ancora una volta D’Alema si assumerebbe il compito di interlocutore primario di Berlusconi. Due leader "veri" in una spartizione di ruoli, senza disturbatori in mezzo. Il secondo scenario è più disinibito, ed è quello delle larghe intese. Praticabile soprattutto in caso di risultato elettorale ambiguo, ma comunque funzionale alla normalizzazione diarchica della politica italiana». Rimane pur sempre un terzo scenario, quello della batosta elettorale. Perché quando si punta a gestire la sconfitta si può anche rischiare la goleada. «Il vero trionfo di Berlusconi avverrebbe se dopo le elezioni si potesse permettere di fare a meno della Lega. A quel punto avrebbe tutte le possibilità di stabilizzarsi al centro del sistema, praticando una riedizione della politica dei due forni, di là con la Lega, di qua con i Ds». Nel tono delle parole di Parisi si avverte una scia ironica: il pensiero di un D’Alema che lavora per l’eternità del Cavaliere, in effetti, è puro humour nero.

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