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Divagar m’è dolce in questi guai

06/09/2002

Il Cavaliere descamisado si è sbracciato per convincere gli italiani che il miracolo è già stato realizzato, nel senso che il governo ha evitato il disastro. Nonostante queste rassicurazioni, l’autunno sarà la partita più critica della sua carriera. Non è infatti il catastrofismo della sinistra a dire che le cose vanno male. È la durezza dei fatti a segnalare che la realtà finora non si è fatta convincere dalla retorica berlusconiana. C’è addirittura un’ironia nelle cose, per come hanno smentito tutte le rassicurazioni del governo: la ripresa che è continuamente dietro il prossimo angolo, la crescita che riparte, sta per ripartire, ripartirà. Forse. O forse chissà. Inoltre: tasse che crescono, inflazione che colpisce il reddito fisso, progetti minacciosi sulle pensioni e la sanità. Sono specialmente i ceti meno privilegiati, che avevano sperato nelle briciole della grande festa di casa Berlusconi, a subire il cattivo andamento dell’economia. D’altronde, nei piani di Berlusconi c’era l’idea di poter rilanciare la crescita con trovate da commercialista. Non ha funzionato, perché la macroeconomia è un mondo più vasto dello studio di Tremonti. Finora, osservando la sostanziale stabilità della popolarità berlusconiana, a dispetto di una prova partigiana e mediocre, analisti come Ilvo Diamanti avevano parlato di «consenso senza fiducia». Vale a dire che l’elettorato manifestava ancora un orientamento di stampo ideologico: la valutazione sull’operato della maggioranza era insufficiente, ma questo giudizio non si traduceva in un cambiamento rilevabile di segno politico. Si tratta di vedere adesso se la combinazione di elementi negativi catalizzata dall’autunno procurerà spostamenti significativi. Alla fragilità operativa del governo si accoppia una spregiudicata inclinazione manipolativa. Lo spoil stystem è stato praticato con durezza. E durante l’estate, per rassicurare il pubblico, i telegiornali di regime hanno raggiunto picchi di elusività fino al comico. Nell’arte di divagare Berlusconi è un maestro. Quando si tratta di verificare l’andamento del Pil, parla in modo commosso della fame nel mondo, annuncia campagne contro la prostituzione e la droga. Ma l’affabulazione senza requie può funzionare quando l’uditorio è ancora infatuato dalle speranze e dai desideri elettorali: mentre adesso la situazione è meno romantica. Si dice che in una democrazia moderna si vota con il portafogli. È probabile che di qui a fine anno potremo riscontrare se la società italiana ha deciso di farsi i conti in tasca, oppure se c’è una quota di consenso non scalfibile, indifferente ai fatti, berlusconiana fino al salasso economico. Berlusconi punta sulla stabilità di un consenso "a prescindere". Già: i poteri sono con lui. I ceti privilegiati anche. A revocare il consenso e a metterlo in crisi potrebbero essere quelli che più di tutti hanno creduto in lui e più ne sono stati delusi: chiamiamoli i poveri, con licenza parlando.

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