gli articoli L'Espresso/

Divisi si può resuscitare

30/04/2003

L’aveva confessato a qualche amico: vorrei fare un piccolo botto nel centro-sinistra. Michele Salvati, docente di Economia politica a Milano, ex deputato ds, intellettuale di riferimento e militante della sinistra moderata e mugugnante, ha scritto in un pomeriggio le 14 cartelle del suo appello politico. Ha telefonato a Giuliano Ferrara, gli ha spiegato di che cosa si trattava, e il giorno dopo il manifesto "salvatico" per la ristrutturazione del centro-sinistra e il lancio del partito democratico campeggiava in una pagina del "Foglio". Tesi: bisogna spostare al centro l’equilibrio della coalizione. Sintesi: aggregare i riformisti moderati della Margherita e di una parte dei Ds, lasciare a sinistra i riformisti radicali, con cui stringere un accordo politico- elettorale successivo. Dopo di che, è cominciato il diluvio. Salvati, ma che cosa le è saltato in mente? Non si fa così, si coinvolgono gli organi, si presentano le mozioni, si discute nelle sedi dovute. «L’appello per il partito democratico è nato da un’irritazione formidabile, nata dalla percezione di un’impotenza. Avevo visto il documento preparato da Bruno Trentin per la conferenza programmatica dei Ds a Milano, e mi erano cadute le braccia. Non per la qualità del lavoro di Trentin, ma perché era il solito tentativo di tenere insieme tutto. Cioè fare sul piano del programma quello che Fassino fa sul piano del partito. Inoltre, secondo motivo, c’era stato il rinvio dell’assemblea ulivista del 13 aprile, e la rabbia è aumentata». E allora si è detto: squilli la tromba. Ma la politica non si fa con gli stati d’animo. «Tuttavia di fronte all’impotenza della coalizione ci voleva un cireneo che provasse ad alleviare il Calvario. Vede, la condizione del centro-sinistra è disastrosa per una quantità di ragioni, che interagiscono tutte: se manca il leader, e il leader in effetti è lontano, restano solo partiti e partitini, con le relative rendite di posizione. Prevale una logica da sistema proporzionale». Ammetterà che è difficile convincere il proprio partito che deve scindersi. «Gliel’ho detto, è stata una decisione d’impulso. Se avessi avuto modo di pensarci di più, se mi fossi consultato con qualche politico amico, se, se se: non l’avrei più scritto, il mio documento». Ma i dietrologi sostengono che dietro la sua operazione ci sia la mano del grande assente. «Chi, Romano? Prodi? Ma per carità. Se vogliamo parlare seriamente, le dico quali sono le ragioni politico-culturali che stanno dietro la mia riflessione». Era più stuzzicante se c’era la manina. «Preferisco parlare di storia. E di architettura. Dunque, sul piano storico il documento sul partito democratico nasce da una lettura della crisi italiana dal 1992 in poi. Ma anche dalla mia storia personale. Da ragazzo ero un seguace di Lelio Basso, poi sono stato operaista, ho partecipato alla vicenda dei "Quaderni rossi", poi mi sono dato al radicalismo dei "Quaderni piacentini"…». Tutti sforzi tipici di stare a sinistra senza identificarsi con il Pci. «Può darsi. Sta di fatto che il Pci ha avuto un pesante ruolo storico nell’impedire la nascita di un partito socialista riformista. Era proprio la sostanza del partito comunista a impedire un’evoluzione socialdemocratica ragionevole e proponibile alla società italiana come alternativa elettorale e politica». Il Pci non c’è più, se quello era il problema. «Ma la storia lascia eredità importanti. Dobbiamo pensare che mentre Craxi tra la fine degli anni Settanta e l’avvio degli Ottanta abbandona il massimalismo, lancia il "progetto socialista", ovvero un’ipotesi di modernizzazione da sinistra, il Pci fa consociativismo, e nello stesso tempo difende le ragioni della propria diversità e si autoesclude». Vuole dire che oggi scontiamo ancora gli effetti di quello che Giuliano Amato e Luciano Cafagna chiamarono "duello a sinistra"? «Ma non c’è dubbio. Comunisti e socialisti arrivano al redde rationem mentre sono entrambi in sfacelo. Il Psi evapora, mentre Achille Occhetto sposa il populismo». Si riferisce a Tangentopoli? «Agli inizi dei Novanta nel sistema politico c’era un’autentica nevrosi, e si è scatenata una canea populista. Ora, nel populismo sai come entri ma non sai come esci: può andarti bene ma possono venirne fuori anche Berlusconi e Bossi. La divisione nella sinistra attuale è il frutto di un modello analogo: la contrapposizione fra riformisti e radicali rappresenta l’irriducibilità di alcune matrici politiche che tendono a perpetuarsi». Vada per la storia. Ma per quanto riguarda l’architettura? «Bisogna valutare fino in fondo se abbiamo capito il sistema maggioritario, anzi, il sistema dell’alternanza. Primo punto: si compete per vincere le elezioni, non per incrementare i propri voti al proporzionale. Secondo, sono convinto che il formato del centro-sinistra è anomalo perché ha il baricentro fuori asse. Perché il centro-sinistra possa vincere occorre un partito che sia un grosso dirimpettaio del partito di Berlusconi. Guidato da una personalità che non si sia formata nel vecchio partito comunista. In modo che il centro-sinistra non appaia l’ennesima metamorfosi del Pci». Detto così sembra che occorra solo una dichiarazione di resa. «No. Alcuni processi sono avvenuti. Il Partito popolare il suo sforzo lo ha fatto: è confluito nella Margherita e si è schierato a sinistra, nella massima chiarezza. Nei Ds invece non c’è stato nessun processo di rinascita, di cambiamento di sostanza. D’Alema aveva un progetto, ma era quello di tenersi il corpaccione del partito, con tutte le sue anime, pensando di risolvere i problemi in chiave di leadership e di azione governativa. È andato nel Kossovo, alla City ha annunciato una rivoluzione liberale, si è scontrato con il sindacato e Cofferati sullo stato sociale. Soprattutto il Kossovo, è stato importante perché i socialdemocratici con la guerra maturano dei crediti…». Fin da quando i socialisti tedeschi votarono i crediti per la Grande guerra. «C’è sempre una certa ironia nella storia: corsi e ricorsi. Ma se ci si illude di poter proseguire passo dopo passo, oggi un successino alle amministrative, domani il 22 per cento alle europee, dopodomani l’immancabile trionfo, si fa la fine della contadina che va al mercato con la ricottella sulla testa, immaginando di venderla e di diventare ricca con una serie immaginaria di successi commerciali a catena. Poi la ricotta si spiaccica per terra, e tanti saluti ai sogni». Fine del partito ricotta. «C’era una razionalità presunta, nei calcoli dalemiani, ma era tutta ipotetica: se mia nonna ha le ruote, D’Alema dura vent’anni e di Ulivo non si parla più». E si deve ricominciare da capo. Il leader, il formato della coalizione, il programma. Con Cofferati che invece dice: prima il programma, poi il resto. «Guardi, non per cinismo, ma nel mio giudizio il programma è piuttosto indifferente. Ciò che conta è il messaggio. E la leadership. Sapere che cosa si vuole dire al Paese, e farlo dire a un leader che risulti persuasivo». Lei sostiene che Prodi deve diventare il segretario del partito democratico futuro, e di riflesso il capo dell’alleanza di centro-sinistra. Ma come si fa a impostare una politica su una sola carta, su un solo uomo? «È un rischio, come no. Ma le nostre carte al momento sono queste. D’altronde, le reazioni nel centro-sinistra sono state semiautomatiche. Rutelli per ora non si è fatto vivo. La base diessina come al solito parla della "fuga in avanti di Salvati". Cofferati sta zitto e sornione perché il mio appello gli va benissimo, dato che gli lascia in amministrazione tutto il patrimonio del radicalismo politico-sociale». E se non il programma, il messaggio quale sarebbe? «Meglio che non dica nulla, perché se fosse per me tirerei fuori un messaggio "azionista", e quindi perdente. No, credo che occorra essere capaci di enunciare un ventaglio di scelte radicali nell’impostazione e intelligentemente moderate nell’applicazione». In sostanza, i Ds si spaccano o no? «Ma neanche per sogno. Come succede spesso nei partiti, la leadership diessina è molto più sensibile ai militanti che non ai votanti. Il problema, forse, è tutto qua».

Facebook Twitter Google Email Email