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E adesso si gioca tutto

25/05/2006

Non c’è da fare le mammole, dicono i prodiani, ogni governo è nato da una trattativa tesa fino all’ultimo. Non è una novità che si sia dovuto fare i conti con le ambizioni delle formazioni minori, Rosa nel pugno, Comunisti italiani, il partito di Mastella. Inutile stupirsi per un déjà-vu. Tanto più che lo sanno tutti che il Professore non ha un esercito alle spalle, ma solo una pattuglia striminzita. E che quindi i partiti abbiano rimesso le mani sul giocattolo. È il sistema proporzionale, no? I bei sogni vanno nel cassetto, almeno per ora. Ottimo. Cioè, mica tanto. Insomma, una cosa grigia. Domani è un altro giorno. Il centrosinistra ha una formidabile capacità di dimenticare. Dimenticare la "lezione" delle primarie, tanto per dire, i celebri quattro milioni e tre. Nonché il risultato dell’Ulivo alla Camera, che il 9-10 aprile ha salvato la baracca. Ma mettiamoci anche le dichiarazioni dette e ripetute da Walter Veltroni, «ogni volta che abbiamo messo a disposizione una casa più grande, i cittadini hanno detto: qui stiamo meglio». Tutto nell’oblio? Intanto, a governo fatto, c’è un punto da mettere in chiaro: Romano Prodi dura. O perlomeno: non è a rischio immediato. A risultato elettorale appena acquisito, il suo braccio destro Giulio Santagata aveva confessato agli amici: «Le prospettive del futuro governo Prodi si capiranno subito. Basterà osservare la composizione ministeriale». Adesso il test è pronto: nell’esecutivo sono entrati Francesco Rutelli e Massimo D’Alema, e hanno assunto un ruolo centrale. Si giocano la faccia e il futuro politico. Si stagliano nelle foto accanto al premier. Vuol dire che scommettono sul governo dell’Unione. Probabilmente non avevano altre possibilità. Sarebbe stato paradossale, se non comico, che i due maggiori partiti della coalizione avessero preso una posizione attendista, tipo «vai avanti te che a noi scappa da ridere». Nonostante le manovre e manovrine, i veti, i ricatti, le minacce, le mosse e contromosse sullo scacchiere dei dicasteri che hanno segnato il negoziato per formare il governo, Rutelli, D’Alema, Fassino e tutti gli altri capi e capetti del centrosinistra hanno una consapevolezza: che l’Unione con i prossimi mesi si gioca la pelle, non soltanto la faccia. Il centrosinistra infatti con le ultime elezioni politiche è riuscito a spremere tutto il suo elettorato. Si è trattato di uno sforzo immenso e praticamente irripetibile. I ventiquattromila voti di scarto che hanno significato il successo elettorale, quella fragilissima barriera allo strapotere berlusconiano, sono il segno, il battesimo, il crisma del governo Prodi. «Se il governo fallisce», dice Enrico Letta, trait-d’union con le élite economiche, «siamo pronti per l’estrema unzione». Quindi, governo imbullonato, blindato, ferreamente contrattato per assicurare solidità. Per questo non c’è stato nessun colpo d’ala, niente invenzioni dalla società civile, solo il sigillo tecnocratico di Tommaso Padoa-Schioppa all’Economia: una figura di riferimento e rassicurazione per l’Unione europea, la Banca centrale di Francoforte, i mercati finanziari internazionali, le agenzie di rating. Con Pier Luigi Bersani (e Antonio Di Pietro) a fare il lavoraccio sull’economia reale, le infrastrutture, le grandi opere. Anche per tentare, soprattutto attraverso il pragmatismo popolare del ministro piacentino, di ricucire un rapporto con il Nord, con le associazioni territoriali della Confindustria, nelle quali non si è ancora spento il brusco rigurgito filoberlusconiano (che nella base ha determinato attriti, e se non attriti certamente mugugni, con il vertice di Viale dell’Astronomia). In sostanza, i "poteri forti" dei partiti sono dentro il governo, resi visibili dalle figure di Rutelli e D’Alema alla vicepresidenza di Palazzo Chigi. Il senso è: niente scherzi. Le scaramucce, gli scontri, la politica politicante deve rimanere fuori dal perimetro dell’esecutivo. Solo che in questo modo si profila subito un problema. Il Partito democratico rischia l’ibernazione. La divisione di ruoli fra il governo e il parlamento, fra la gestione del paese e la politica espone una cesura fra un governo politicamente commissariato e le aspettative di rinnovamento del "formato" dei partiti all’interno dell’alleanza. Per ora evidentemente si tratta soprattutto di raffreddare il clima generale. Dopo le battaglie sui vertici istituzionali, incluse le battaglie all’interno della coalizione, il centrosinistra ha bisogno di un varo senza scossoni. Si trova davanti due scogli, le elezioni amministrative e il referendum costituzionale, su cui la Casa delle libertà cercherà di radicalizzare nuovamente il faccia a faccia con l’Unione. Silvio Berlusconi lascia circolare sondaggi secondo cui il centrodestra sarebbe in vantaggio di quattro-cinque punti percentuali, e sta valutando se il suo elettorato è in grado di rimobilitarsi per una ulteriore battaglia campale. Incassate le sconfitte sulle Camere e il Quirinale, il referendum è il passaggio estremo per dimostrare la sua tesi, secondo cui «la vera maggioranza è la mia». Ma anche per l’Unione l’iter costituzionale è uno snodo complicato. Perché la tentazione è quella di sterilizzare il confronto sulle riforme, scegliendo la strada dell’amministrazione. Tuttavia il centrosinistra non può contare solo sull’inerzia: se la spinta riformatrice si stempera, e nel frattempo la prospettiva del Partito democratico si oscura, tutta la retorica sul rinnovamento va fuori corso. Il fatto è che l’Unione non può puntare soltanto sulla credibilità di un governo che si qualifichi come un consiglio d’amministrazione. «Non possiamo rischiare un contraccolpo di delusione», dice il principale teorico del Partito democratico, Michele Salvati. Lo stesso Veltroni, che aspetta dalle elezioni comunali di Roma un’investitura plebiscitaria, ha mandato a dire che la legislatura dovrà avere due fasi: «creazione del Partito democratico nella prima, riforma istituzionale nella seconda». Nel frattempo, Prodi deve cercare un sentiero fra risanamento e crescita. Forse i dati statistici sul Pil gli daranno una mano. Ma intanto bisognerà trovare un ufficiale di collegamento fra il governo e la politica. Circola un identikit, e ha tutte le fattezze di Walter, re di Roma. n

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