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E Ciampi? È silente

18/10/2001

Schiacciato dal clima di guerra, il primo referendum confermativo di una legge costituzionale è scivolato via come un compitino, svolto dalla diligenza di un terzo dell’elettorato. È una mezza vittoria per l’Ulivo, una mezza sconfitta per la Casa delle libertà, probabilmente una sconfitta intera per qualsiasi progetto di ristrutturazione istituzionale. Tolto il dente del semi-federalismo in versione ulivista, non si vede come potrà evolversi l’ammodernamento della Costituzione, dal momento che l’unico soggetto politico interessato è la Lega di Bossi (ma solo nel senso di abbattere il "falso federalismo" vidimato dagli elettori domenica scorsa per sostituirlo con un impianto devolutivo tanto enfaticamente rivendicato quanto imprecisato nell’articolazione). Sotto questo aspetto, varrà la pena di ricordare la bizzarria di un ministro per le Riforme che a poche ore dal voto popolare faceva una propaganda piuttosto folk per l’astensione, sovrapponendo con sfrontatezza il suo intento politico al suo ruolo istituzionale. E di riflesso è il caso di notare che dal Quirinale non sono giunti richiami o appelli davvero convinti sul rilievo del referendum. Eppure, se il presidente della Repubblica è il garante della Costituzione, lo è anche di quella delicatissima parte costituita dall’articolo 138. Se Ciampi non ha ritenuto di dare solennità a un momento nodale della vita collettiva, evidentemente sul Colle si dev’essere pensato che alla legge di modifica costituzionale convenisse il silenzio più che la drammatizzazione; e che l’understatement giovasse al destino della riforma istituzionale più che la sua trasformazione in un muro contro muro. Un simile manierismo, tuttavia, suggerisce che a Ciampi non restano molte carte politiche da giocare, forse nemmeno in chiave di "moral suasion". L’automaticità, per così dire, con cui ha firmato la legge sulle rogatorie sembra l’indizio che in futuro la sua azione si caratterizzerà in senso ampiamente notarile. Prima del referendum, Rutelli e Fassino si erano appellati al Quirinale, segnalando che il conflitto d’interessi "tracima" dappertutto, dall’informazione al falso in bilancio e alle rogatorie. I risultati ottenuti non sembrano all’altezza dell’allarme. È evidente che per l’opposizione sarebbe insensato usare il capo dello Stato a fini politici; ma ormai è anche chiaro che per Ciampi, ex ministro del centrosinistra, eletto alla più alta carica dello Stato con un voto bipartisan, non è praticabile l’interventismo politico che segnò il mandato di Oscar Luigi Scalfaro. La situazione si sta decantando, l’esecutivo governa, quale che sia il giudizio sulle sue leggi. Il Ciampi "silente ma non assente" può esercitare le sue funzioni sul registro alto delle convergenze internazionali, favorendo le consonanze sui temi dettati ieri dall’Europa e oggi dall’agenda antiterrorismo. Quanto al resto, rogatorie e altri affari domestici, si tratta di quotidianità politica. A dispetto delle ansie del centrosinistra, il Quirinale non farà il cane da guardia dell’opposizione contro il governo: per la banale ragione che quando si è il presidente "di tutti" è impossibile mettersi contro qualcuno.

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