Molte dichiarazioni pubbliche degli esponenti del centrosinistra hanno per oggetto non tanto il fallimento del governo Berlusconi, bensì un fallimento presuntivo dell’intero paese, in seguito alle politiche o non-politiche berlusconiane. Lo stesso Romano Prodi, in una recente intervista alla rivista cattolica "Il Regno", lo ha specificato con chiarezza: «Chi ci governa porta pesanti responsabilità: declino economico, disgregazione sociale, ferite inferte alla legalità, stravolgimento della Costituzione, degrado dell’etica pubblica. L’Italia, Berlusconi non se lo può più permettere». Ma non è detto che puntare sull’idea della catastrofe socio-economica procurata dalla Casa delle libertà possa essere un’idea davvero fruttuosa. È vero che l’economia italiana sta attraversando un periodo di trasformazione profonda, forse radicale, ed è possibile che in futuro gli squilibri determinati dalle delocalizzazioni produttive e dalle crisi settoriali possano aggravarsi, con effetti imprevedibili in termini di compatibilità sociale. Tuttavia non è detto che al momento la retorica dell’impoverimento complessivo della società italiana sia di per sé vantaggiosa per il centrosinistra. Declino e povertà sono termini generici. Psicologicamente depressivi. Contraddetti, come di questi tempi ricorda spesso lo storico Giuseppe Berta, da alcuni grandi indicatori che occhieggiano nei titoli dei giornali. È vero o non è vero che la Borsa di Milano è cresciuta del 15 per cento nel 2004, figurando come il migliore mercato mobiliare europeo? Ed è vero o no che l’Italia, secondo i dati esposti da Adolfo Urso, è in Europa il secondo paese esportatore verso la Cina, dopo la Germania? Mettiamoci anche i conti ottenuti nel 2004 dal ministro dell’economia Siniscalco, con un buon risultato sul deficit e una leggera discesa del debito pubblico, e si otterrà una serie di segnali, di spie, di indicatori su cui sarebbe opportuno riflettere. Il primo elemento da mettere a fuoco è che l’impoverimento andrebbe valutato come un fenomeno redistributivo, non come una tendenza permanente dell’economia italiana: si sono impoveriti alcuni ceti, il lavoro dipendente e i pensionati; mentre altre categorie economiche, che hanno potuto capitalizzare il cambio con l’euro, hanno come minimo ricostituito i margini di profitto. Ciò ha almeno due implicazioni. In primo luogo una politica di centrosinistra dovrebbe individuare con chiarezza il messaggio da rivolgere alla società, e in particolare a quegli elettori che sono stati sedotti dalle sirene dell’"enrichissez-vous" berlusconiano e che ora si ritrovano cornuti e mazziati: sotto questo profilo, la polemica più o meno brillante sul "centro" politico come fattore strategico per la vittoria elettorale va ancorata ad alcuni contenuti, altrimenti è pura astrazione. Subito dopo, seconda implicazione, si ha la sensazione che nonostante tutto l’Italia contemporanea sia un paese ricco. Forse di una ricchezza nascosta e improduttiva, come nella concezione di Eugenio Scalfari, il quale auspica misure per rimetterla nel circuito economico. Ma al di là dei provvedimenti necessari a questo scopo, come la patrimoniale, che sarebbero possibili soltanto se intesi come una leva straordinaria per lo sviluppo del paese, cioè in presenza di un progetto credibile di modernizzazione integrale, va elaborata una politica relativa al paese vero, non a un paese immaginario. Il paese vero è sottoposto a tensioni, soggetto a crisi più o meno estese, ma soprattutto aspetta una proposta. E la proposta politica non può limitarsi alla deprecazione. Certo la costernazione rispetto alla pratica del governo Berlusconi, e la retorica del paese mortificato dalla destra, è un mastice ancora efficace per il centrosinistra, ma sarebbe il caso di non perdere di vista le condizioni reali dell’economia e della società italiana. Sono tre anni che personalità credibili come Pier Luigi Bersani ed Enrico Letta segnalano la non credibilità dei conti pubblici, e l’aleatorietà delle leggi finanziarie: ma per ora la catastrofe non è avvenuta. Semplici manipolazioni contabili? Puri espedienti finanziari? Può darsi. Ma intanto, in attesa della catastrofe che certamente verrà, sarebbe il caso di fare i conti con la realtà autentica del nostro paese. Altrimenti si sa che cosa succede, nel gridare troppe volte al lupo.
20/01/2005