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È meglio nascere a Milano

19/08/2004

Il programma-antidoto antiromano si chiama "Nati a Milano", su Raisat Extra (vista la puntata del pomeriggio di domenica 1° agosto, dedicata a Dario Fo). Chi scrive appartiene alla categoria di quelli che Fo. Cioè quelli che qualsiasi la tv passi del premio Nobel, restano lì pietrificati col telecomando inattivo, nell’illusione di rispondere all’annosa, irresponsabile e insoluta questione: fece, faceva, fa ridere, Fo? Il programma è condotto da colui che per qualcuno è il massimo scrittore italiano vivente, l’autore di "Io uccido", Giorgio Faletti, a cui si deve anche la sigla (tutt’altro che ignobile, perché Faletti è un eclettico, minchia, anche quando faceva "Drive In" minacciando «Anatrema su di voi», e poi tramontava nelle tv locali usando l’interiezione padana «c’la vàca»). Faletti si insinua tra il materiale d’archivio e sembra sempre che debba inciampare, e non venirne fuori: e invece non inciampa mai, ma con questa tecnica ansiogena si tiene attaccati gli apprensivi. Poi, com’è naturale, il programma vive delle sequenze di repertorio. Televisione antica e moderna: Fo a "Canzonissima", Fo in bianco e nero, Fo che fa il gregoriano, Fo che racconta la storia del «pursell in del smerdasso», Fo che ripete «Frènca», Fo che indottrina il pubblico e gli spiega le barzellette medievali. Si vedono anche alcune scene divertenti con Enzo Jannacci, e allora vengono in mente almeno due cose: primo, che una delle prestazioni migliori, questa sì da Nobel, fu quella volta o due che Fo cantò "Ho visto un re" insieme proprio con Jannacci (e magari c’era anche Renato Pozzetto); secondo, che il grande scrittore Fo stava benissimo con i lingera milanesi, nei locali sulla cerchia dei Navigli, e chissà perché gli è venuta la smania politico-culturale. Infine, se non ci fosse da correre dietro a dati di audience che si sa che sono tarocchi ma bisogna fare finta che siano veri, varrebbe la pena che a Faletti dessero un bel programma culturale, qualcosa sui libri, sugli scrittori, sugli assassini, sul giallo, sul noir, sugli apostrofi, qualsiasi roba. Perché è lento e rassicurante, la sintassi gli torna, le parole gli vengono, o almeno se le è scritte in fila: e allora, per contrappasso, tanto vale mettere a frutto lo stramilione di vendite di "Io uccido" per fare un programma che stenda senza rimorsi le poche decine di migliaia di spettatori che non leggono i bestseller, ma sopportano la cultura.

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