Il problema non è se vi piace o non vi piace Teo Mammucari. Questi sono fatti vostri. Ogni scarrafone è bello a mamma sua. La questione è se vi piace o non vi piace la televisione fatta alla maniera di Teo Mammucari. Il quale, lo sapete, è un ex Iena, un tipo con una faccia non troppo raccomandabile, facciamo da impunito, dotato di un talento naturale non dissimile da quello di Fiorello (vabbé, Fiorello è inarrivabile, ma ci siamo capiti), che fa una televisione che i dirigenti tv, i programmisti, gli autori considerano "moderna". Se non sapete o non ricordate che cos’è la modernità, per un ripasso è sufficiente guardare "Mio fratello è pachistano" (Canale 5, il martedì sera alle 23.40). Programma indefinibile, perché tutto giocato sulla personalità del protagonista Mammucari. Ma programma nel solco della tv di seconda serata di maggiore successo (dicono), sul genere dell’altro programma più o meno di culto, "Cronache marziane" (tutto è di culto ormai). Là, lustrini, drag queen, coriandoli, luci, clima gay; qui soprattutto freak di periferia indotti a giocare, cioè a prendere la televisione come gioco, a diventare protagonisti, a "fare" il programma sotto la guida del provocatore Mammucari. Per divertirsi occorre essere dell’umore adatto, e non sempre ciò accade mentre la palpebra si abbassa insidiosamente. Bisogna apprezzare che un poveretto di tipica ascendenza pasoliniana, una reincarnazione tardiva di Ninetto Davoli senza ricci, o di uno dei fratelli Citti, venga fatto ballare un lento con Heather Parisi. Anvedi come balla Nando. Ciò consente di apprezzare di nuovo la celebre risata cavallina della Parisi e il suo schiaffetto fra il divertito e l’indignato quando il coatto le si avvicina al viso per fare nasin nasello. Oppure vedere altra gente del popolo, anzi, del sottoproletariato, scaraventata sulla scena televisiva a fare l’impossibile: ad esempio, telefonare in inglese a un albergo. Divertente? Ba, be bi bo bu, direbbe Renzo Arbore citando Ernesto Bonino. Se dobbiamo divertirci con queste cose, se siamo obbligati, lo diciamo: giuro, mi diverto. Apprezziamo i maltrattati, gli sradicati del suburbio resi protagonisti. Ridiamo tutti, fingendo che tutto questo para-situazionismo sia divertente. Siamo dei simulatori sociali. E mentre al culmine del divertimento la palpebra precipita, una voce dal subcosciente sussurra: non sarà il caso che ci ridiano Fiorello?
10/03/2005