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E un giorno Silvio dirà: è tutta colpa sua

19/08/2004

Dentro la Casa delle libertà, i più cinici sostengono che in autunno, per giustificare il proprio fallimento a finanziaria disintegrata, Silvio Berlusconi produrrà un outing formidabile e darà tutte le colpe a Giulio Tremonti, il suo ex superministro. Sarebbe una sorte paradossale per il "genio" della Casa delle libertà, l’esponente governativo che avrebbe fatto contare di più l’Italia in Europa, il tecnico che sarebbe riuscito, prima con la sospirata Tremonti-bis, e poi con il taglio delle tasse, a galvanizzare il ceto delle partite Iva, e a legarlo stabilmente al centrodestra. In realtà Tremonti aveva un limite evidente, determinato dal fatto che la sua competenza, straordinaria come fiscalista, era meno professionale sul piano della macroeconomia. Più che un ministro portatore di una visione, il divo Giulio era l’uomo delle soluzioni alla carta. Ora spingendosi verso la frontiera liberista, ora recuperando la cultura statalista e "colbertiana". Questo sincretismo era piaciuto a Umberto Bossi: perché evidentemente il Senatur ammirava la creatività tecnica, ma amava soprattutto le grandi ricostruzioni tremontiane, i panorami fondati sulla "lex mercatoria", la ricchezza senza nazioni, la geopolitica del danaro. Il capolavoro di Tremonti era stato proprio la ricucitura fra il "traditore" Bossi e Forza Italia. Aveva spiegato al capo del Carroccio, con una delle sue formule speciali, che «la secessione l’ha già fatta l’Europa» portandosi via pezzi di sovranità nazionale, e che qui in Italia si poteva trattare sulla base di un federalismo approfondito ma non scassatutto. Tremonti era il vincitore morale delle elezioni del 2001. Risulta quindi sorprendente ancora adesso, a distanza di qualche settimana, che il più leghista degli uomini di Forza Italia sia stato lasciato cadere dalla Lega praticamente senza combattere. Berlusconi se l’è cavata con il grazioso cinismo dei sovrani assoluti, parlando del «cattivo carattere» del suo principale ministro e sostanzialmente facendo spallucce al verdetto di condanna di tre anni di politica economica. Fuggito nel suo buen retiro, Tremonti ha di fronte a sé un futuro politico dubbio. Può fare il consigliere-ombra di Berlusconi, se il suo orgoglio sulfureo non gli impedirà di fare buon viso privato al cattivo gioco pubblico. Un suo rientro al governo, anche dopo nuove elezioni, al momento sembra un’ipotesi incongrua. L’ex ministro in questo momento è una riserva della Cdl. Potrebbe partecipare alla corsa del dopo-Berlusconi, quando ci sarà un dopo. Oppure occupare una posizione di prestigio nella Lega. A meno che la delusione sia così profonda da impedirgli di rientrare nelle seconde file della politica, e di consigliargli di ridiventare il grande fiscalista che è stato.

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